A rischio di
estinzione a causa della pesca illegale e di altre molteplici minacce, le
anguille dalla caratteristica forma che ricorda un serpente, sembrano però
avere un “asso nella pinna”: comportamenti migratori dissimili che li aiutano
ad adattarsi colonizzando habitat distinti. Ed è proprio questa varietà di
strategie che potrebbe fare la differenza per la loro conservazione, spiegano i
ricercatori del Cnr.
Un recente
studio condotto dall’Università di Ferrara, insieme all’Università di Padova e
all’Istituto di biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa
(Cnr-Ibf), a cui hanno contribuito Gaia De Russi, Mattia Lanzoni, Giuseppe
Castaldelli, Cristiano Bertolucci, e Tyrone Lucon-Xiccato dell’Università di
Ferrara, Angelo Bisazza dell'Università di Padova, e Paolo Domenici
dell’Istituto di biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa
(Cnr-Ibf) ha, infatti, scoperto che non tutte le anguille si comportano allo
stesso modo durante la migrazione. Alcune sono esploratrici instancabili,
pronte a risalire forti correnti, altre sono più “scalatrici”, esperte nel
superare barriere come dighe e sbarramenti. Un bel vantaggio, visto che questo
approccio individualizzato riduce la competizione per le risorse e aumenta le
probabilità di sopravvivenza della specie.
La ricerca, che
offre nuove prospettive per comprendere meglio le esigenze ecologiche delle
anguille e contribuire alla loro tutela, è stata pubblicata sulla rivista Proceedings
of the National Academy of Sciences
(Pnas).
Dalla schiusa
delle uova nel lontano Mar dei Sargassi, le larve di anguille europee,
trasparenti e a forma di foglia di salice, vengono trasportate dalle correnti
marine attraverso l’Oceano Atlantico e, dopo aver superato lo Stretto di
Gibilterra, raggiungono ogni anno le nostre coste. Ma qui non finisce la loro
straordinaria avventura: le larve si trasformano in piccole anguille, note come
“ceche”, pronte a vivere in acque dolci e a diventare nuotatrici attive. Una
volta giunte alle foci dei fiumi, le ceche iniziano la risalita, spingendosi
sempre più a monte fino a trovare l’habitat ideale per la crescita e la
maturazione sessuale. Questo percorso fluviale è pieno di ostacoli: le giovani
anguille devono superare barriere naturali e artificiali come dighe e
sbarramenti, imparare a evitare predatori, cercare nuove fonti di cibo e infine
individuare i luoghi più adatti alla loro crescita e sopravvivenza e riescono a
farlo ciascuna con la propria strategia.
Un’anguilla che si ciba durante uno degli esperimenti dello studio (Photo credit Behavioural Biology Lab).
Secondo il team
di ricerca, che ha condotto una serie di osservazioni su un gruppo di ceche
campionate nel delta del Po, questa diversità di comportamento – o “personalità
migratorie” – è un elemento cruciale per la sopravvivenza della specie.
“Contrariamente
a quanto si pensa, una migrazione non è sempre un movimento coordinato di
massa”, spiega Paolo Domenici, ricercatore del Cnr-Ibf. “In alcune specie, per
esempio, ci sono individui che migrano prima, seguiti da altri, o individui che
scelgono di non migrare ogni anno. È il caso del salmone, dove alcuni individui
maturano nei fiumi e nelle loro foci, mentre altri si spostano fino al mare
aperto. Nello studio sulle anguille, ci siamo concentrati proprio su queste
differenze”.
Le anguille
campionate nel fiume Po sono state collocate in vasche sperimentali che
simulavano l’ambiente fluviale. In metà degli esperimenti il flusso d’acqua era
continuo, mentre nell’altra metà era presente uno scivolo d’acqua, a imitare
una barriera come uno sbarramento o una diga. I risultati hanno mostrato che
alcuni individui erano molto abili nel risalire il flusso continuo, ma
trovavano difficoltà con le barriere; al contrario, altri individui avevano
successo sugli sbarramenti ma faticavano nel flusso d’acqua. Il gruppo di
ricerca ha, dunque, concluso che le anguille adottano strategie migratorie
diverse, che potenzialmente permettono ai diversi individui di raggiungere
habitat distinti del fiume.
Gaia De Russi,
dottoranda del Dipartimento di Scienze della vita e biotecnologie di Unife,
spiega: “Distribuirsi in ambienti diversi non solo aiuta a ridurre la
competizione per le risorse, ma offre anche una garanzia: se un habitat diventa
inospitale, ci sono anguille in altri luoghi che possono sopravvivere e
mantenere viva la specie.” “È interessante notare”, continua De Russi, “come le
anguille, a seconda delle loro diverse modalità migratorie, mostrino differenze
significative anche in altri aspetti, rivelando vere e proprie ‘personalità
migratorie’. Per esempio, gli esemplari che eccellono nel superare barriere
tendono a crescere più lentamente, a essere meno esplorativi, ma imparano più
rapidamente a risolvere i problemi legati alla ricerca del cibo. Queste diverse
strategie individuali fanno sì che ciascun tipo di anguilla finisca per
colonizzare habitat differenti lungo il sistema fluviale. Quando le anguille
raggiungono l’età adulta, le attende un’altra straordinaria migrazione, questa
volta verso il Mar dei Sargassi, per la riproduzione. Anche questo viaggio,
probabilmente, sarà affrontato in modi diversi da ogni individuo, anche se al
momento non abbiamo dati su questo aspetto”.
“La popolazione
mondiale di anguille è in declino”, aggiunge Giuseppe Castaldelli del
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione di Unife, che con il
suo gruppo di ricerca in Ecologia monitora la risalita delle ceche nel fiume Po
nell’ambito del Progetto Lifeel. “Lo vediamo dal numero sempre minore di ceche
che riusciamo a campionare nelle foci e di piccole anguille in risalita nei
nostri fiumi. Un tempo, alcuni di questi animali raggiungevano perfino i laghi
morenici ai confini con la Svizzera. È stupefacente quanto poco ancora
conosciamo di questa migrazione, la cui comprensione è sicuramente importante
per designare al meglio le strategie e gli interventi per la conservazione e
protezione delle anguille”.
Il professor
Tyrone Lucon-Xiccato del Dipartimento di Scienze della vita e biotecnologie
riassume: “Spesso pensiamo che per proteggere la biodiversità sia sufficiente
salvaguardare le differenti specie. Il nostro studio dimostra che non basta: la
biodiversità include anche le differenze comportamentali all'interno di una
singola specie, come le diverse strategie migratorie che osserviamo nelle
anguille. Sarà importante garantire non solo che le anguille continuino a
risalire i nostri fiumi, ma che la popolazione mantenga questa diversità
migratoria che consente loro di colonizzare molteplici habitat”.
Foto in primo piano: Una giovane anguilla in risalita campionata
durante le azioni di monitoraggio della specie (Photo credit Mattia Lanzoni).
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