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22 mar 2017

D’Annunzio, la “prima volta” a Fiume. Cade un tabù

D’Annunzio, la “prima volta” a Fiume. Cade un tabù

Autore: Anonym / mercoledì 22 marzo 2017 / Categorie: Attualità, Teatro / Vota questo articolo:
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Teatro Nazionale Croato Ivan de Zajc – Fiume – 17 marzo 2017
CABARET D’ANNUNZIO, commedia musicale di Fabrizio Sinisi. Ideazione e regia di Gianpiero Borgia. Musiche di Aleksandar Valenčić. Scenografie e video proiezioni di Aleksandra Ana Buković. Costumi di Manuela Paladin Šabanović. Disegno luci di Ivan Bauk. Assistenti alla regia: Elena Cotugno / Valerio Tambone. Interpreti: Ivna Bruck (Aelis Ermione), Rosanna Bubola (Olga Ossani), Fabrizio Coniglio (Gabriele D’Annunzio), Elena Cotugno (Eleonora Duse), Giuseppe Nicodemo (Scarfoglio, un colonnello fiumano), Anton Plešić (Treves/Cosulich), Sabina Salamon (Una donna croata – Hrvatica). Mirko Soldano (Tom Antongini), Leonora Surian (Barbara Leoni, Signora Cosulich, Luisa Baccara), Valerio Tambone (Mussolini). Musicista Aleksandar Valenčić. Direttrice di scena Lili Švrljuga. Suggeritrice Sintja Lacman. Sovratitoli Eugenia Medić / Petra Šegić.

Fiume – La compagnia di prosa del Dramma Italiano (unico complesso di prosa stabile di lingua italiana, fuori dai confini nazionali), che opera in seno al Teatro Nazionale Croato Ivan de Zajc, ha portato in scena lo spettacolo "Cabaret D'Annunzio".
Autore del testo, Fabrizio Sinisi, mentre la regia, come pure l'idea del progetto, è di Gianpiero Borgia, il cui Teatro dei Borgia di Barletta ne è coproduttore.
Si tratta di una classica "prima volta". Nel vero senso della parola. D'Annunzio, infatti, nella Fiume oggi croata e ieri jugoslava, è quel che si dice "tabù": mai rappresentato, mai tradotto, dal 1946 ad oggi, mai affrontato nemmeno come personaggio, se non in uno spettacolo corale sulla storia del Novecento della città, e comunque... di sguincio, venticinque anni fa. Perché? In fondo, se il capoluogo del Quarnero (o Carnaro) viene ricordato nel mondo, lo deve ai venti mesi della "reggenza" del Vate, non in quanto già unico porto del Regno d'Ungheria o, nel Secondo Novecento, scalo industriale più importante della defunta Jugoslavia?
Perché... E qui si tocca un tasto dolente. Per dirla con una battuta, Gabriele D'Annunzio, da Trieste a Tokyo passando per tutte le tappe intermedie – piaccia o meno – è arte, poesia, teatro. A Fiume è cronaca politica nera. Il suo egocentrismo "italianista" non gli permise (nel senso che non gliene importava nulla) di vedere e di capire ciò che un personaggio della pièce portata in scena da Borgia, gli rinfaccia, quando il Pescarese parlando del capo degli autonomisti (italiani) di Fiume lo accusa di essere un rinnegato, di non sapere nulla della realtà e della storia fiumana: "Qui - dice il Kolonel – nessuno tradisce nessuno". Eh sì, perché nelle vene dei fiumani c'è sangue italico e croato, sloveno e ungherese, germanico e boemo... E non pochi tra gli "italianissimi", poi divenuti caporioni del fascismo, per farsi comprendere in casa propria dovevano parlare il croato... Ma non è tutto. I venti mesi dannunziani di Fiume furono costellati da violenze soprattutto nei riguardi dei non italiani: aggressioni, incendi delle rispettive proprietà, atti di pirateria sul mare antistante contro i natanti di proprietà di pescatori e marittimi "slavi". Violenze, va aggiunto, anche nei riguardi di quella parte della popolazione fiumana di etnia italiana o italica, ma niente affatto convinta della politica del Comandante e dell'annessione di Fiume all'Italia, una fetta di popolazione gelosa delle proprie prerogative storiche di "corpo separato". Ben prima dell'editto teresiano e della nascita dello stato italiano Fiume agiva in piena autonomia, in senso municipalistico, decidendo addirittura anche la scelta della lingua ufficiale: non l'illirico (il croato), non il tedesco, non l'ungherese, ma l'italiano (per l'esattezza dal 1599).
Ma D'Annunzio a Fiume fece un secondo e più grave errore, che nel tempo si rivelerà un crimine. (Lo commise volontariamente? Personalmente, penso che lo fece senza rendersi conto, con la medesima incoscienza con cui in precedenza aveva condotto al suicidio la propria moglie, da "artista", tutto preso da sé e dal proprio ombelico). Ovvero, dopo avere portato agli eccessi i toni antislavi, una volta lasciata la città, questa – Stato Libero di Fiume per un paio di anni – non ebbe il tempo di rimarginare le ferite, sicché la successiva italianizzazione – formale – avvenuta in seno a uno stato fascista e razzista, non ha fatto che esasperare i rapporti tra le due principali componenti etniche, l'italiana e la croata, privando la seconda della cittadinanza e di tutti i diritti civili, per cui oltre quindicimila nativi di Fiume di etnia slava si ritrovarono stranieri in casa propria, senza scuole, senza giornali, senza circoli, addirittura senza le funzioni religiose nella propria lingua. La cosa durerà fino al 1941 a cui seguiranno quattro di guerra. Antipatia, astio e rancore, ben presto diverranno odio profondo.
Ebbene, dentro a questa ottica Gabriele D'Annunzio è sempre stato recepito nella Fiume croata (ed ex jugoslava), al punto dall'impedirne lo studio, la stessa conoscenza, ritratto – fisso, immutabile, come icona negativa – nel poeta-guerriero vessatore del popolo croato.
L'operazione Borgia-Dramma Italiano, quindi, si presentava come una sfida più che ardua. In città, destra e sinistra con sospetto guardavano all'operazione. E con un certo timore, ben celato, dalla componente italiana della città e della regione, essendo il Dramma Italiano l'espressione artistica e culturale più importante.
Le reazioni del pubblico e della critica ci dicono che la sfida è stata vinta. Ovvio, non manca chi, indipendentemente da tutto e da tutti, continua a battere sul solito vecchio tasto; ma chi ha un minimo di strumenti conoscitivi sa benissimo cosa è pregiudizio e cosa è giudizio.
Sia chiaro, lo spettacolo non è un "dare addosso" incondizionatamente a D'Annunzio. Anche perché non ce n'era bisogno: è stato lui stesso a darsi picconate (auto) demolitrici con la propria condotta. Una condotta – una esistenza – che Sinisi e Borgia spiattellano, cronologicamente, per episodi, sin dalla scena iniziale, quando un corteo funebre piange la prematura scomparsa del sedicenne Gabriele D'Annunzio, fattosi passare per morto in un incidente d'auto al fine di "scandalizzare" e vendere più copie della prima silloge. Si passa quindi ai suoi duelli, verbali e non, con Scarfoglio, che ci restituiscono un letterato salottiero e provinciale, porcellone e malato di "dannunzianesimo". C'è una scena corposa dedicata al suo sodalizio umano e artistico con Eleonora Duse, che ne rivela la superficialità dei sentimenti. Ovviamente, non può mancare il D'Annunzio eroe e guerriero. In specie quello che entra trionfante a Fiume, tutto preso da coca, feste e vacuum, con – a dispetto dei proclami – vile fuga finale. Non manca comunque il D'Annunzio, forse per l'unica volta in vita sua, innamorato di qualcosa che non sia la sua persona: Fiume, appunto.
C'è, infine, il D'Annunzio dello "scatto di reni", che tiene in scacco un timoroso Mussolini ("se mi affaccio ad un balcone – dice - per lui è finita”), che gli concede tutto il concedibile, pur di non trovarselo contro. “È risaputa l'inimicizia del Vate verso il Duce, "un bovaro", capo di un popolo "piccolo, meschino, che si aggrega sempre al vincitore". Un vincitore che, tuttavia, "non può sempre essere tale". E quando Mussolini si vanta di essere amato incondizionatamente dal popolo italiano, D'Annunzio, con un sorriso tra il bonario e il diabolico, in sostanza gli dice che avrà modo di disilludersi).
Magnifica la chiusura dello spettacolo: Gabriele D'Annunzio è morto, viene ricoperto da una gigantesca bandiera sabauda, sulla quale, dopo un attimo di commovente raccoglimento, inizia un frenetico boogie-woogie. Il Vate, pur se con gli strumenti delle lettere, comunque aveva dato corpo ad una "italianità", fino al suo avvento non troppo convinta a livello nazionale, comunque troppo aggressiva. Aggressività "italianista" che Mussolini ha portato alle estreme conseguenze politiche e militari, passando dalla alleanza col "nibelungo – gli dice D'Annunzio – truccato da Charlot" alla guerra, al bombardamento e all'occupazione degli alleati, ma soprattutto americani, del Paese. 


Foto di scena Drazen Sokcevic
Locandina Rino Groppuzzo


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