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27 lug 2014

TORRE DEL LAGO: IL FESTIVAL PUCCINIANO VINCE ANCHE LA PIOGGIA

TORRE DEL LAGO: IL FESTIVAL PUCCINIANO VINCE ANCHE LA PIOGGIA

Autore: Anonym / domenica 27 luglio 2014 / Categorie: Attualità, Teatro, Italia, Toscana / Vota questo articolo:
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Stagione molto difficile per gli organizzatori di spettacoli d’opera en plen air, l’estate 2014, meteorologicamente anomala, tra burrasche e serate ricorrenti di pioggia. Così è stato in maniera particolare per i responsabili della Fondazione Festival Puccini, che per il 60° anno propone i lavori del grande musicista toscano a Torre del Lago, a pochi passi dalla villa-ritiro tanto amata da Puccini, sulla riva del lago di Massaciuccoli. I primi due debutti di quest’edizione del sessantennale, “Madama Butterfly” – che a sua volta compie 110 anni – e “La Bohème”, sono stati entrambi contrastati e penalizzati dalla pioggia: nel primo caso ha fatto cominciare la struggente tragedia di Cio-Cio-San con circa un’ora di ritardo, nel secondo caso un acquazzone furioso tra primo e secondo atto ha costretto a una pausa di circa un’ora prima della ripresa dello spettacolo, andato poi in scena, regolarmente fino alla fine, così come accaduto per la “Butterfly”. Ma il risultato, in tutti e due i casi, è stato la conclusione degli spettacoli ad ora tardissima, con conseguenti problemi per gli spettatori provenienti da lontano e più d’un malumore da parte loro. D’altronde è ovvio che l’organizzazione cerchi, come suo dovere, di portare fino in fondo la rappresentazione… a qualunque costo.
“La Bohème” di Torre del Lago ha suscitato interesse, a livello mediatico, per il debutto assoluto nella regia lirica dell’ottantatreenne Ettore Scola: il maestro del cinema è stato convinto a tentare l’avventura da Daniele De Plano, nuovo direttore artistico del Festival Puccini. La messa in scena del regista di “Una giornata particolare” è risultata attenta e scrupolosa, ma lontana da ogni invenzione spiazzante o inattesa. Niente stravolgimenti, insomma, ma un allestimento classico senza anacronismi improbabili, anche se la collocazione cronologica è stata spostata alla Belle Epoque, quindi di qualche decennio. C’è poi anche uno pseudo-Edouard Manet che dipinge, nel secondo atto, la sua “Colazione sull’erba” con tanto di modella nuda: fatto improbabile, in realtà, visto che primo e secondo atto dell’opera si svolgono nel freddo della sera del 24 dicembre…
Una regia accurata, quella di Scola, nella precisione e nella plausibilità dei gesti e dei movimenti dei cantanti in quanto anche attori, segnata – vedi il III atto – da un realismo tanto scenografico quanto di descrizione minuta di un grigio microcosmo sociale (gli spazzini al lavoro, le guardie, le sbarre dei cancelli che si aprono). Un realismo che pure assume un senso lirico, più che giustamente, e fa poi da scenario, per contrasto, alla carica poetica e appassionata della dolorosa vicenda di Mimì malata e morente e di Rodolfo. Due grossi nomi della lirica ricoprono le parti dei protagonisti: la coppia (anche nella vita) Daniela Dessì e Fabio Armiliato, per la prima volta insieme nella “Bohème”, pure da loro interpretata – separatamente – tante volte. Impeccabile, capace di entusiasmare il pubblico, la resa vocale di lei; via via più convincente dopo la “Gelida manina”, l’interpretazione di Armiliato, che comunque ha messo in mostra una grandissima padronanza della parte, in tutte le sue pieghe e sfumature, entusiasmando a sua volta il pubblico: soprattutto dal secondo atto in poi. Molto bravi anche gli altri, da Alessandro Luongo (Marcello) al Colline di Marco Spotti, dallo Schaunard di insolita personalità e peso scenici di Federico Longhi, alla Musetta briosa e piccante di Alida Berti. All’altezza, di ottima professionalità la direzione di Valerio Galli. 
Più affascinante ancora, però, per certi versi addirittura memorabile, l’allestimento di “Madama Butterfly” di Renzo Giacchieri: che ha firmato regia, scene e costumi di uno spettacolo a momenti minimale nella messa in scena, con un palcoscenico quasi vuoto nella cui vastità grandiosa ed immensa sembra smarrirsi piccola piccola Cio-Cio-San (Micaela Carosi, ottima primadonna, preparata e autorevole), con il suo dramma straziante che quasi la fa scomparire e la annulla. L’assistenza alla regia di Hal Yamanouchi come curatore dell’aspetto mimico dello spettacolo, assicura una impeccabile autenticità all’ambientazione nipponica: non solo dal punto di vista visivo – anche al di là delle citazioni di artisti come Hokusai - ma anche nei gesti e nella ritualità dei movimenti e delle varie situazioni. 

Un allestimento pure spartano, spesso spoglio è marcato però da invenzioni e trovate di grande effetto: semplici ma bellissime. Di pregio assoluto anche la direzione dello spagnolo Josè Miguel Perez Sierra, che della scrittura pucciniana rende piena giustizia alla poesia e alle raffinate preziosità sonore e strumentali, tra gli esotismi e le sfumature stupende: a questi livelli, forse, Puccini dopo “Butterfly” non tornerà più, complessivamente, in un’opera, se non in alcune parti della “Turandot”. Pinkerton è un esordiente assoluto in questo ruolo, il kosovaro Rame Lahay, che non ha convinto del tutto il pubblico (forse la sua non è proprio la voce più adatta per questa parte): successo e apprezzamento calorosi invece per il solido e robusto Sharpless di Giovanni Meoni, molto sicuro, così come la Suzuki di Renata Lamanda.

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