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2 gen 2013

LA LENTICCHIA DI VILLALBA. 200 ANNI DI TRADIZIONE

LA LENTICCHIA DI VILLALBA. 200 ANNI DI TRADIZIONE

Autore: Anonym / mercoledì 2 gennaio 2013 / Categorie: Attualità, Speciali, Arte Culinaria, Italia, Sicilia, Итальянский репортер / Vota questo articolo:
1.0
Nel cuore della Sicilia, a sud-est della catena montuosa delle Madonie, nasce il Comune di Villalba, così chiamato dal suo fondatore il Barone Nicolò Palmeri che lo volle al centro dell’antico feudo di Miccichè (dal termine arabo Michiken che significa terre nere).
Il barone Palmeri acquistò feudo e titolo nobiliare da Domenico Corvino-Caccamo Principe di Villanova con atto notarile del 8- Luglio- 1751.
A partire dal 1755 dopo numerose controversie con il vicino Duca di Pratameno del casato dei Papè, il Palmeri diede il via al diritto di popolazione del suo feudo chiamando contadini dei paesi limitrofi a coltivare le fertili terre del feudo e ad abitare il nuovo centro che chiamò con il nome di Villalba in onore dei suoi antenati e della di lui consorte i quali provenivano appunto da una cittadina dallo stesso toponimo della Galizia spagnola.
Nel 1758 moriva il fondatore di Villalba e nel 1818 si estingueva suo figlio, Placido Palmeri, le redini del feudo passano così al primogenito erede universale, il quale brillò per le sue capacità di imprenditore agricolo. Nelle mire di consolidare il numero di coloni che popolava il centro di Villalba sperimentò il motivo per il quale gli arabi avevano dato il nome Miccichè al feudo, attraverso la coltivazione di diverse leguminose da granula come fave, ceci e lenticchie, allo scopo di procurare fonti di proteine vegetali per il nutrimento di animali e popolo.
Da queste premesse nasce la tradizione della coltivazione della famosa Lenticchia di Villalba, la quale prese il sopravvento sulla diffusione delle altre leguminose a causa della sua peculiare sapidità che la fece entrare inevitabilmente nella dieta alimentare della comunità contadina.
Queste le considerazioni necessarie per comprendere come si sono innescati nella cultura agricola locale gli input che portarono in seguito a sviluppare tecniche di coltivazione capaci di selezionare e standardizzare un prodotto che ancora oggi conserva le sue peculiarità.
Volendo fare un excursus storico della tecnologia di coltivazione si può dire che gli agricoltori locali partendo da materiale genetico disomogeneo cominciarono già alla fine del 1800 a praticare la classica selezione massale utilizzando come materiale di riproduzione i semi più grossi tramite la cosiddetta ammannata che consisteva nel passare le lenticchie ad un setaccio a maglie larghe ed i semi che non riuscivano a passare venivano utilizzati nella semina dopo che manualmente si eliminavano i semi che presentavano difetti per forma e per colore.
Questa pratica nel corso degli anni come è ovvio riuscì a fissare nella popolazione di questo ecotipo il carattere di macrosperma (il diametro medio della granella arriva a 6-8 mm ed il peso dei mille semi a 70-90 g) con una tipica colorazione verde chiaro del tegumento.

La tecnica tradizionale di coltivazione

Altro elemento distintivo di questo prodotto è la tecnica di coltivazione. La lenticchia veniva seminata a postarelle o file con un investimento di 50-70 piante a m2 utilizzando 40-60 Kg di seme per ettaro. La semina si effettuava nella prima decade di dicembre avendo cura di non interrare troppo il seme (3-5 cm di profondità). Dopo l’emergenza seguivano le sarchiature manuali avendo cura di non danneggiarne l’apparato radicale molto superficiale, un attrezzo tipico che accompagnava questa pratica era la gramba (un guanto di ferro portante dei chiodi per sarchiare la terra in prossimità della pianta). Nel mese di Maggio si praticava la raccolta estirpando le piante che man mano raggiungevano la maturazione fisiologica. Si formavano così dei piccoli covoni, manate, che venivano disposti in modo tale da permettere l’essiccazione della piante evitando un’eccessiva insolazione allo scopo di impedire che il sole potesse far virare il colore della granella da verde a rossastra,arrussicata, con grave danno per le caratteristiche organolettiche del prodotto.
Ad una settimana (non più tardi) dalla raccolta veniva praticata la trebbiatura con l’ausilio dei muli o battendo i covoni con appositi bastoni. La separazione della granella dalle altre parti della pianta veniva affidata all’opera del vento ed il prodotto così ottenuto veniva stipato in piccolissimi magazzini all’interno delle case di abitazione ricavati nei sottoscala o sotto le alcove i cosiddetti katuoi che venivano chiusi ermeticamente utilizzando spesso la pasta di farina per suturare le chiusure, all’interno si bruciava dello zolfo o più modernamente si sublimava del solfuro di carbonio, tutto ciò allo scopo di sterilizzare le lenticchie evitando gli attacchi di tonchio (un parassita che si sviluppa all’interno dei tegumenti dei legumi).
La Lenticchia di Villalba nell’immediato dopo guerra sale al rango commerciale delle esportazioni e per le stesse vie della emigrazione arrivò nel nord Europa e negli USA e per qualche decennio costituì la struttura economica portante del piccolo centro nisseno. Ma per gli stessi effetti dell’emigrazione e parallelamente con l’avvento della meccanizzazione delle pratiche agricole, la sua coltivazione subì un drastico decremento fino a relegarsi a prodotto di autoconsumo.
Attualmente i percorsi salutistici della nutrizione consapevole la pongono nuovamente sulla vetrina dei prodotti di nicchia più apprezzati.
L’apprezzamento delle sue caratteristiche culinarie e nutrizionali sembra possa dar luogo ad una adeguata risposta di mercato in grado di ripagare gli sforzi necessari da parte dei coltivatori per mantenere ed attuare un protocollo di coltivazione improntato alla antica tradizione in un contesto di agricoltura sostenibile.
L’Amministrazione Comunale di Villalba è da tempo impegnata nel rilancio di questa nobile produzione. A partire dal 1998 con l’amministrazione del dott. Calogero Vizzini che ha avviato una collaborazione con l’Istituto di Genetica Vegetale del CNR di Bari, nell’ambito di uno studio in cui indica la promozione delle vecchie varietà locali come strategia per la salvaguardia del germoplasma autoctono, e individua nella lenticchia di Villalba uno dei tre genotipi tradizionali della lenticchia italiana. A seguire l’amministrazione del dr. Eugenio Zoda ha proseguito la collaborazione coinvolgendo l’Istituto Sperimentale G:Ballatore e L’Ente Nazionale delle Sementi Elette di Palermo che hanno redatto la scheda vegetale della coltura per il riconoscimento biomorfologico.
Oggi l’amministrazione guidata da Alessandro Plumeri che si è spesa nelle politiche di diffusione della coltivazione e nella valorizzazione del prodotto attraverso la sponsorizzazione del Riconosciuto Consorzio di Tutela della Lenticchia di Villalba, vede premiati gli sforzi fin qui fatti salutando nel mese di Settembre c.a. la nomina di questa pregiata leguminosa a presidio Slow Food. Una soddisfazione quest’ultima che incoraggia a proseguire il cammino verso altri marchi di tutela come il DOP o l’IGP.

La Lenticchia di Villalba rappresenta per la piccola e laboriosa comunità nissena un ritorno al passato che guarda al futuro.

Dott. Giuseppe Zaffuto

Agronomo. Consulente per il comparto agricoltura del Sindaco di Villalba Alessandro Plumeri

Foto di Ettore Cipolla. Coltivazioni di lenticchie. Proprietà Ettore Cipolla Contrada Rovittello - Villalba

 

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