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25 nov 2015

LUCCA CELEBRA IL “SUO” PUCCINI CON LA STRUGGENTE POESIA DI “MADAMA BUTTERFLY”

LUCCA CELEBRA IL “SUO” PUCCINI CON LA STRUGGENTE POESIA DI “MADAMA BUTTERFLY”

Autore: Anonym / mercoledì 25 novembre 2015 / Categorie: Attualità, Musica, Teatro, Italia, Toscana / Vota questo articolo:
5.0

Durante il Coro a bocca chiusa, Cio-Cio-San non sta a guardare in uno del “tre forellini” che ha fatto per sé, per il figlio e per Suzuki, la nave Abramo Lincoln appena arrivata nel porto di Nagasaki, ma sta in piedi, lei, immobile, come in trance, fronte rivolta alla platea, mentre due servitrici mute – presenza costante nello spettacolo, via via più metafisica, inquietante e lugubre – la vestono lentamente, come ritualmente di bianco (abbigliamento per la sua morte, visto che il bianco è colore di lutto? Mah). E, rimanendo nell’ultimo atto, Butterfly disperata e suicida non chiama affatto a sé il figlioletto, che appare invece furtivamente e solo per un attimo, insieme a Suzuki, che poi – in tutta fretta - lo conduce via mentre la sua padrona si sta preparando alla morte (ha capito tutto, forse, Suzuki, e lascia che le cose seguano il loro corso? Però Butterly sta parlando al bambino….: “non saperlo mai… Per te, per i tuoi puri occhi…” ecc.) Sono diverse, in realtà, le soluzioni insolite ideate e poi adottate da Sandro Pasqualetto nella sua regia di “Madama Butterly” di Giacomo Puccini andata in scena al Teatro del Giglio in apertura del festival “Lucca Puccini Days” dedicato al compositore dalla sua città. Invenzioni a volte suggestive o d’effetto, ma di lettura non sempre chiara, oppure poco plausibili (quando addirittura non sembrano denunciare una certa incertezza del regista o una mancanza di effettivo significato). Il regista, tuttavia, ha avuto a che fare – e non è un vincolo da poco – con un apparato scenografico e di costumi dato, ripreso dalla “Butterly” lucchese del centenario (2004) progettata di Christoph Wagenknech, che blocca – di fatto – e limita l’azione e gli spazi. Lo spettacolo, che ha la direzione musicale di Valerio Galli, sul podio dell’Ort-Ochestra della Toscana, è una coproduzione tra il Giglio e i teatri Goldoni di Livorno, Sociale di Rovigo, Municipale di Piacenza e Pavarotti di Modena: tutte “piazze” che lo ospiteranno nei prossimi mesi. Galli, giovane ed emergente maestro di Viareggio – quindi sempre di zona pucciniana – ci offre una lettura orchestrale dal piglio energico e incalzante, incisivo, demandando piuttosto all’aspetto vocale dell’esecuzione, la resa piena e soddisfacente delle sublimi preziosità sonore e di atmosfera della partitura e dello struggente, straziante lirismo pucciniano. Ad esso rende giustizia in maniera indiscutibile la prova da protagonista di Maria Luigia Borsi, Butterfly di sicura personalità e di innegabile statura artistica: una vocalità intensa e corposa, la sua, ai confini di quella del soprano lirico. In più, la Borsi ha anche ottime doti di attrice. All’altezza della situazione – stiamo parlando solo del primo cast, impegnato a Lucca in due repliche su quattro – si è mostrato senz’altro il baritono Marcello Rosiello, nel ruolo di Sharpless, mente discontinuo (e in parte “beccato” dal pubblico alla fine della “prima”), è stato il Pinkerton di Lorenzo Decaro: una bella voce, convincente in molti momenti, ma con numerosi cali. Corretta, senza difetti ma di non grande rilievo la Suzuki di Lorenza Scarlata: Goro era Tiziano Barontini, lo zio Bonzo John Paul Huckle, il principe Yamadori Antonio Pannunzio (personaggio che in quest’edizione è apparso assumere un po’ più peso del solito). Questi ultimi tre cantanti erano in entrambi i cast. Da apprezzare anche la prova del Coro della Toscana, la cui attività è purtroppo saltuaria e la stessa esistenza, precaria.

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