Speciale Festival Internazionale Teatro Romano Volterra XVII Edizione. È Antonio Salines il magistrale interprete di Mefistofele nel
Faust di Christopher Marlowe, in Prima Nazionale con la regia di Carlo Emilio Lerici, nel programma della XVII edizione del
Festival Internazionale Teatro Romano Volterra. Indimenticabile, nello stesso ruolo, a fianco di Tino Buazzelli nella trasposizione televisiva trasmessa nel 1978, con la regia di Leandro Castellani, Salines, spiega le motivazioni che hanno portato a questa produzione il Teatro Belli di Roma – del quale è direttore artistico da oltre quarant’anni - insieme al Comune di Portigliola. “Da moltissimo tempo Marlowe non è stato più rappresentato in Italia”, dichiara. “Questo Faust è sicuramente da più di trent’anni che non viene portato in scena”.
Perché, dunque, ha deciso di produrre quest’opera?
È stata una mia idea perché avevo già interpretato Mefistofele in un’edizione televisiva con Tino Buazzelli e poiché lavoro da dieci anni con Edoardo Siravo, glielo ho proposto. Mi ricordavo com’era Buazzelli, all’epoca, quando aveva, più o meno, l’età di Siravo. Così abbiamo deciso… Siravo aveva delle “piazze” in Sicilia e in Calabria per rappresentarlo, ma prima siamo arrivati qui, a Volterra. Saremo poi in tournée per una decina di giorni. Inizialmente volevamo portare al Festival una mise en espace, ma, visto che eravamo già pronti con le scene e tutto il necessario, siamo andati avanti con l’allestimento completo dello spettacolo. Poi, un po’ alla volta, ci siamo accorti che stava diventando sempre più complicato sia per le scene che per i costumi, a causa tanti cambi e abbiamo dovuto trovare altre soluzioni. Devo dire che questa edizione del Faust, rispetto al testo originale, è ridotta. Contiene dei “tagli”: sacrosanti, secondo me.
In cosa si distingue questa produzione?
È una edizione del Faust con la traduzione e l’adattamento di Rodolfo Wilcock, uno dei traduttori e autori più importanti del teatro inglese. Volevamo realizzare, infatti, una produzione che fosse di un certo livello di adattamento e questo spettacolo ha tutte le carte in regola per esserlo. La regia è di Carlo Emilio Lerici. Gli attori sono tutti bravi. Siamo contenti e speriamo di ottenere il consenso del pubblico.
Relativamente ai “tagli” ai quali fa riferimento, esattamente di che tipo di intervento si tratta?
Nel teatro elisabettiano, in Marlowe, in Shakespeare, gli spettacoli duravano molte ore durante le quali il pubblico, tra l’altro, mangiava e beveva. Così, spesso, gli attori raccontavano, nel secondo tempo e nel terzo, quello che era successo nel primo, per gli spettatori che, nel frattempo, potevano averlo dimenticato. Pertanto, è giusto, oggi, tagliare quelle parti che risultano ripetitive.
Non è, quindi, una riscrittura?
No. Sono contrario al teatro “manipolato”. Non lo sopporto. Ho i miei anni e so bene quello che è il teatro. L’ho vissuto. Le rivisitazioni non mi piacciono. Ho iniziato la mia carriera con Carmelo Bene. L’unico che rivisitava i testi era lui ed era un genio. Parlando del teatro d’avanguardia diceva: “sono tutti miei aborti”. Le rivisitazioni devono essere fatte da un genio e in Italia, nel novantanove per cento dei casi, nessuno sa fare niente del genere. Sono tutti confusionari. Solo alcuni critici ci vedono qualcosa…
Anche nella lirica si verifica lo stesso fatto?
Non parliamo della lirica… A volte si vedono spettacoli vergognosi…
Secondo lei perché si tende a riscrivere, anziché scrivere, per il teatro?
Per incapacità. Oggi, ad esempio, se un regista decide di mettere in scena un’opera rispettando il testo originale, non ne parla nessuno. Se invece rompe gli schemi, allora si dice ha avuto delle idee… In realtà non è così.
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