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15 giu 2016

Enia Lucarelli, il coraggio e la genialità di una grande donna e di una straordinaria creatrice di moda

Enia Lucarelli, il coraggio e la genialità di una grande donna e di una straordinaria creatrice di moda

Autore: Rita Sanvincenti / mercoledì 15 giugno 2016 / Categorie: Attualità, Moda, Italia, Toscana / Vota questo articolo:
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Frequentava le prime classi della scuola elementare, la piccola Enia, quando il maestro rilevò un problema durante i dettati, dovuto - fu presto chiaro - purtroppo, ad un deficit uditivo; ma rilevò anche la straordinaria fantasia creativa della bambina, la sua eccezionale forza interiore, quella determinazione che le avrebbero permesso di affrontare e superare i molti ostacoli che avrebbe incontrato. Così oggi la signora Enia Lucarelli, la cui storia è costellata di successi, personali e della Scuola che ha creato, racconta con stupefacente freschezza e grande lucidità, il percorso della sua vita durante la quale, come lei stessa dichiara, “è stata molto amata e sostenuta”. Fondamentale e determinante la figura paterna, che le ha insegnato amorevolmente ad accettare il suo problema e a reagire traendone la forza per affrontare la vita con le sue difficoltà e insidie.
A sostenerla e ad amarla profondamente sarebbe poi stato anche il marito Roberto, la cui perdita prematura, a soli 52 anni, le avrebbe causato un immenso dolore. Ad esso si andarono ad aggiungere grandi difficoltà che, per un lungo periodo, gravarono sull’attività della quale fino ad allora era stato lui ad occuparsi.

Nei lunghi anni del dopoguerra e della ripresa economica Giovanni Battista Giorgini organizzò, nel 1951, la prima sfilata a Firenze, nella sua Villa Torrigiani, facendo letteralmente esplodere nel mondo la moda italiana, destinandola a diventare un sistema industriale di dimensioni mondiali. Sempre in Toscana, a pochi chilometri dal capoluogo, in quegli anni, la giovanissima Enia studiava e si appassionava alla moda e voleva costruire abiti con un suo sistema che potesse essere “corretto” sulla persona, adatto e adattabile a chiunque e ad ogni necessità.
Nel 1955, ad appena 18 anni, brevettò il “Manuale per il Nuovo Metodo per l’insegnamento del taglio”, un eccezionale metodo applicato alla creazione di modelli per donna, uomo, bambino per ogni occasione, per il giorno, per la sera, per la cerimonia; senza escludere la lingerie. Un metodo che, con i periodici e necessari aggiornamenti, viene ancora oggi insegnato e studiato nella Scuola che porta il suo nome e della quale è Direttore la figlia Romina, entrata come docente di Merceologia tessile negli anni ’90, erede delle competenze e della professionalità del padre ma anche delle grandi responsabilità dell’azienda che dopo la sua scomparsa, lei si trovò a sostenere, quando aveva appena vent’anni.
La Scuola Professionale di Moda Enia Lucarelli è Agenzia Formativa accreditata dalla Regione Toscana. In possesso di tutte le certificazioni di qualità, consente di acquisire le tecniche per la realizzazione di prototipi e modelli di abbigliamento, di coordinamento dei processi di sviluppo e di presentazione dei prodotti sul mercato. Le richieste di diplomati alla Lucarelli sono superiori al loro numero, ciò a significare che il 100% degli allievi della Lucarelli trovano una occupazione dopo il diploma. La dimensione e la struttura della Scuola è infatti tale da garantire una formazione tecnica perfetta per la richiesta delle imprese del settore.
Alla domanda su quali sono state le peggiori difficoltà incontrate nella vita, Enia Lucarelli risponde: “ho attraversato momenti difficili ma ho avuto anche molti appoggi. Ho avuto accanto tante persone che mi hanno molto sostenuta ed apprezzata, a cominciare da mio padre e da mio marito. Di questo mi sono sempre resa conto. Il mio carattere, inoltre, è quello di allontanare il male da me, pensando che, con il tempo, le cose si risolvono ed infatti ho sempre visto la mia situazione migliorare. Ho sempre avuto un atteggiamento positivo verso la vita”.

Signora Enia Lucarelli, quando ha avuto inizio la sua storia?
Fino da piccola, quando frequentavo le scuole elementari con il maestro Franco Perugi di Firenze che ho avuto per le tre classi terza, quarta e quinta, mi sono accorta che avevo certe difficoltà… Quando il maestro dettava mi trovavo di fronte a frasi che non capivo esattamente: ad esempio scrivevo “mago” anziché “lago” che era, invece, la parola che lui aveva pronunciato. Quelle che percepivo erano parole simili, ma non quelle. Così, come me, si sono accorti anche gli altri di questa difficoltà che avevo. Nel disegno, invece, facevo cose di livello superiore, più elaborate rispetto a quello che veniva richiesto, al punto che venivano mostrate anche agli alunni delle altre classi. Gli insegnanti parlarono con i miei genitori e dissero loro che avevo delle doti fuori dal comune, che avevo molta fantasia, che ero incline ad un lavoro creativo e consigliarono loro di tenermi sotto osservazione. Mi chiesero quello che a me sarebbe piaciuto fare. Risposi che mi piaceva la moda, specificando: non quella delle bambole ma quella degli adulti.

Come ha reagito la sua famiglia di fronte al suo problema?
Mi portarono da alcuni specialisti che dichiararono che ero ancora troppo giovane e che bisognava aspettare. Mio padre, che mi amava moltissimo e che aveva tanta fiducia in me, mentre mia madre aveva sempre paura di tutto, fece di tutto per farmi superare questo problema. Quando mi lamentavo perché non capivo niente o tutt’altro, mi diceva: “guarda, ti sembra che torni il discorso che hai scritto?” Rispondevo che non tornava nemmeno a me, ma era quello che avevo sentito… Poi mi diceva “non devi farti una croce di questo problema. Se tu non lo avessi, non avresti nessuna reazione, non avresti questa grande volontà. Questa è nata in te perché sei nata così”. Non voleva che io mi scoraggiassi. “Ti accorgi – mi ripeteva – che proprio a causa di questo problema tu hai una spiccata volontà? Era, come me, innamorato della moda, aveva una passione per Valentino.


Cosa accade col passare del tempo?
La moda continuava a piacermi. Dicevo che da grande avrei voluto creare i abiti. Verso i 12-13 anni, vicino a dove abitavamo, c’erano delle sarte famose, all’epoca, dalle quali andava a farsi realizzare gli abiti la signora Wanda, moglie dell’ingegnere Luigi Focanti di Roma. Avevano una casa vicino alla nostra ed erano nostri amici. La signora Wanda era anche pilota d’aereo, veniva spesso da noi e mi faceva sempre tanti complimenti. Così un bel giorno, dopo aver parlato con me, disse di voler riferire a suo marito quello che facevo, quello che mi appassionava: la sartoria. Solo che non sapevo da che parte cominciare e dove andare ad imparare.

Quando ha iniziato a muovere i primi passi nella moda?
A 13 anni ho cominciato a lavorare dalle sorelle Papi, che avevano una delle più importanti sartorie di Prato che avevano una clientela anche a Roma. Mi facevano fare alcuni piccoli lavoretti. Poi consigliarono mio padre di mandarmi ad una scuola specializzata. Si parlò di questo anche con la signora Wanda e suo marito disse a mio padre che per qualsiasi cosa avessi avuto bisogno lo avrebbe aiutato lui. Voleva molto bene a mio padre. Erano grandi amici.

Quale scuola ha frequentato?
Ho frequentato un corso di taglio e confezione in una scuola rinomata all’epoca, situata non lontano da casa.

Quanti anni aveva?                                                                                                                                                                                       

Avevo13 anni quando ho iniziato. Allora si poteva cominciare prestissimo, non era come ora.

Quali materie ha studiato?
Addestramento, qualificazione e perfezionamento per circa un anno.

Come è trascorso quel periodo di studi?
Durante il corso mi ero accorta che alcune cose che facevamo non risultavano ben fatte perciò capitava che le facessi a modo mio. Di conseguenza accadeva che le altre ragazze si mettevano ad osservare quello che realizzavo anche perché quello che avevo fatto io era perfetto, cioè corretto. Così un giorno accadde che l’insegnante cominciò ad avere dei dubbi su di me. Certo ora mi rendo conto che avrei dovuto capire che non dovevo farlo, ma per me quella scuola era come fosse casa mia, ero una ragazzina, priva di malizia. L’insegnante però non era contenta di quello che realizzavo autonomamente, mi impose di smettere e mi assegnò dei compiti molto difficili come ad esempio quello di fare da sola una camicia, cosa che io non avevo mai fatto prima. Mi diceva: “tu non puoi fare le cose da sola davanti agli altri, se non hai imparato a farle”. Io rispondevo: non le chiamo, vengono da sole. A volte mi impauriva con i suoi occhi. 

Aveva riferito a qualcuno quello che si verificava a scuola?
Lo raccontavo a casa e mio padre mi suggeriva di lasciar perdere, di continuare a fare il mio lavoro. Accadde poi anche che venissero a casa alcune giovani donne, a chiedermi, insistendo, di preparare per loro un modello. Lo facevo e, senza avere ancora un metodo, lo facevo corretto, come pareva a me, a modo mio. Ne venivamo sempre di più, con la stoffa, a farsi fare modello e taglio. Un giorno dissi a mio padre che mi sarebbe piaciuto tanto fare questo anche alla scuola ma che mi veniva impedito. Lui mi rassicurava dicendo che l’avrei fatto, prima o poi. Rispondevo chiedendogli di farmi aprire un negozio.

Come reagì suo padre?
C’era un grande amico della mia famiglia che aveva un ufficio vuoto e che si era reso disponibile con mio padre. Mi aprì un laboratorio per la realizzazione di modelli e taglio su misura. Un giorno, però, vedi arrivare in automobile due signore che conoscevano la proprietaria della scuola che frequentavo e mi imposero di seguirle in direzione. Chiesi perché e mi risposero che “la signora”, cioè la proprietaria, mi voleva parlare in tutti i modi. Chiesi cosa c’era e loro: “ora lo vedrai cosa c’è”. Mi fecero salire in auto e mi condussero da lei. Arrivata in ufficio la trovai con gli occhi lucidi. “Ora basta - mi disse - devi chiudere il tuo negozio. Non puoi tenere una scuola”. Risposi: “non faccio nessuna scuola; faccio i modelli, venga a vedere. Da me vengono le persone a riprendere il loro lavoro”. Lei, però, insisteva essendosi messa in testa che avevo creato una scuola e mi disse che dovevo chiuderla fino a quando non fossi diventata maggiorenne. “Ricordati – aggiunse - che metteranno in galera tuo padre”. Sentendo questo avevo cominciato a tremare di paura per mio padre. “Non devi dire niente a nessuno di quello che ti ho detto - mi disse – ma solo che non vuoi più fare questo lavoro”. 

Raccontò il fatto ai suoi genitori?
Sì e fu una tragedia. Mio padre reagì molto precipitandosi dalla proprietaria della scuola per dirgli molto energicamente che era con lui che avrebbe dovuto parlare e non con me che ero una bambina. Solo perché era amico di suo marito - le disse - e per rispetto nei confronti di lui non sarebbe andato a denunciarla: come aveva potuto terrorizzare sua figlia?

Come ha reagito lei a questo episodio?
All’inizio volevo chiudere il negozio ma mio padre disse che dovevo assolutamente andare avanti. La paura mi passò e proseguii nel mio lavoro. In seguito a questo, però, non ero più molto tranquilla anche perché venivano spesso ragazze che avrebbero voluto venire a scuola da me, ma certo non avrei potuto. 

 
Quando nacque il brevetto?
Avevo iniziato a studiare il mio metodo. A mio padre suggerirono di farmi frequentare una scuola. La signora Wanda, suo marito e il sacerdote della mia parrocchia, Don Paolino Contardi, acquisirono le informazioni, anche alla Camera di Commercio, su quale fosse il modo per creare il mio metodo e per brevettarlo. Ci volle un anno di lavoro. La moglie dell’ingegnere e il parroco sollecitavano continuamente il risultato del deposito. Infine mi dettero la notizia che era stato brevettato. Era il 1955 e io avevo 18 anni. Avevo fatto stampare il Manuale del metodo, dopo la prima stesura del dattiloscritto nel ’54, alla Tipografia Pistoiese.

Dopo questo traguardo cosa avvenne?
Dopo aver ottenuto il brevetto ho dovuto sostenere una serie di esami alla scuola governativa: dovevo spiegare il procedimento completo perché la responsabilità che avrei avuto con l’insegnamento sarebbe stata molto grande.

Che tipo di esami ha dovuto affrontare?
Per essere abilitati alla professione era obbligatorio frequentare un corso di undici materie teoriche e pratiche tra cui psicologia - che poi avrei compreso quanto fosse necessaria -italiano, ricamo, consapevolezza del ricamo, sartoria. Gli esami si svolsero di fronte ad una commissione: furono difficilissimi. Di tante che eravamo, superammo le prove solo una francese ed io. In base alla normativa allora vigente, si svolsero all’Istituto Tecnico Femminile Ginori Conti di Firenze, che certificava con molta rigidità l’abilitazione all’insegnamento ed era specializzato nella formazione nelle discipline inerenti lo stilismo della moda, il taglio e la confezione. La commissione era formata da docenti dell’Istituto, molti dei quali maestri d’arte, e poneva domande teoriche e pratiche sulla creazione del modello e della confezione, ma anche di cultura generale per verificare le competenze tecniche ma anche la capacità di trasmettere la conoscenza e di relazionarsi con gli allievi. Ho poi richiesto e ottenuto l’autorizzazione ad insegnare dal Consorzio Provinciale per l’istruzione tecnica, ente di diritto pubblico le cui funzioni erano quelle di autorizzare e controllare periodicamente le scuole di formazione professionale private.

Ha iniziato subito dopo ad insegnare?
Ho cominciato ad insegnare con un tirocinio, prima a Montemurlo, successivamente presso le suore a Pistoia, a Serravalle, a Montecatini, nelle parrocchie, nei Circoli, ovunque trovassi un locale, una stanza disponibile. Tenevo corsi della durata di 7-8 mesi che svolgevo un po’ da una parte, un po’ dall’altra: in una settimana seguivo contemporaneamente 5-6 scuole. Così ho fatto per un paio d’anni. Poi finalmente potei dare gli esami. Non sarebbe stato obbligatorio svolgere il tirocinio ma volevo verificare che il metodo fosse efficacemente applicabile prima di aprire la mia scuola.

Dove ha aperto la sua prima scuola?
Ho aperto la mia prima scuola in via Dante Alighieri a Montemurlo con il formale riconoscimento nel ’56. Poi è stata ingrandita la sede e ho continuato ad aggiornare il metodo secondo la richiesta della moda, nell’evoluzione della linea e della vestibilità, dello stile. Dal 2004, a seguito dell’accredito dalla regione Toscana, sono stati aggiunti altri insegnamenti secondo i profili professionali, Merceologia tessile di cui è titolare mia figlia Romina, Lingua inglese, Disegno illustrativo, Storia del Costume, Comunicazione e marketing, Figurino. Le lezioni sono tenute da docenti di alto profilo, alcuni dei quali provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Firenze.

Lei quale materie insegna?
Modellatura e sartoria: insegno la costruzione degli abiti. La realizzazione di un abito viene accuratamente studiata: dalla scelta del tessuto alla costruzione del modello che nasce su un’idea e sulle misure della persona a cui è destinato. Non lavoriamo sulla taglia ma sulle misure della persona. 

Cosa le dà più soddisfazione?
È una grande soddisfazione realizzare capi per persone che hanno misure particolari. Tutti abbiamo dei difetti. Mi diverte perché mi dà soddisfazione: a volte mi sembra quasi di fare, di ricreare una persona. E di fatto, a volte, alcuni si sentono tornate al mondo, gratificate perché non riuscendo a trovare un abito per le loro misure particolari si avviliscono. Per me riuscire in questo lavoro è una bella soddisfazione.

È difficile far capire alle clienti che alcuni abiti sono meno adatti a loro?
Chi viene da me chiede sempre un consiglio ed io suggerisco una linea che risolva alcuni problemi che possono avere, come, ad esempio, ad una persona un po’ curva, di scegliere un modello che abbia una linea più stretta davanti e più morbida dietro, così che vengano valorizzate e nello stesso tempo nascoste alcune caratteristiche fisiche. Naturalmente tutto questo senza offendere nessuno, senza essere troppo espliciti. Si deve mostrare sempre grande sicurezza mostrando una soluzione che metta in evidenza i pregi della persona.

Gli studenti della scuola apprendono con facilità?
Sì anche se a volte non apprezzano a sufficienza. Mostro sempre loro in maniera critica il risultato del lavoro che hanno eseguito: se ad esempio non hanno fatto la giusta correzione, mostro loro come deve essere fatta e perché. Hanno bisogno di capire l’origine dell’errore, per capire la correzione. Trovano, nella mia scuola la piena soddisfazione alle loro aspettative professionali.

Qual è l’età media dei frequentanti i corsi della Scuola Enia Lucarelli?
Da 17 anni in su, fino a sessanta. Ai corsi vi sono partecipanti di tutte le età perché è possibile frequentare anche corsi amatoriali oltre che di specializzazione. Abbiamo anche studenti cinesi che non dimostrano, però, particolare creatività. 

 
Che durata hanno i corsi?
La durata dei corsi oscilla tra 900 a 1200 ore. Il diploma si consegue in circa tre anni a seconda del tipo di specializzazione e per una formazione completa e qualificata. Naturalmente è possibile proseguire nella specializzazione, nell’approfondimento della conoscenza della materia. 

Come avviene l’iscrizione ai corsi della Scuola?
L’iscrizione ai corsi è subordinata ad un test di ingresso che consiste in un colloquio attraverso il vengono verificate l’attitudine, le motivazioni, la disponibilità all’impegno e all’applicazione allo studio dell’aspirante allievo.




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