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1 feb 2011

BIRMANIA: un salto nel passato

BIRMANIA: un salto nel passato

Autore: Anonym / martedì 1 febbraio 2011 / Categorie: Attualità, Viaggi / Vota questo articolo:
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Esistono luoghi sulla terra che ci sembrano leggenda, una storia del passato. Uno di questi è la Birmania, ufficialmente conosciuta oggi con il nome di Myanmar.

Il Paese d'oro, come lo chiamano i vecchi abitanti, per le sue bellezze architettoniche e naturalistiche, è uno dei pochi, in Asia, che ancora non ha subito quel processo definibile come “occidentalizzazione”.

Il paesaggio è incantevole: le gigantesche pianure sono dipinte di colori vivaci, e l'aria trasparente che le sovrasta rendono visibile la totale assenza d'inquinamento. La costa occidentale del Paese, ricoperta di spiagge bianchissime, è bagnata dalle acque dell’oceano, ed ospitano parecchie specie di mammiferi marini, come delfini e dugonghi. Nella parte orientale della Birmania si estendono le foreste tropicali, dove ancora vivono rare specie di animali, tra cui il leopardo, il gatto della giungla, l’orso himalayano, l’orso nero asiatico e la tigre.

La Birmania vive in un mondo di miti. Visitando quei luoghi si ha l’idea di tornare indietro nel tempo.
La maggioranza della popolazione è composta di contadini che vivono prevalentemente in capanne di paglia. Elettricità e acqua potabile si trovano soltanto nei centri urbani; in campagna, invece, prevale la legge della natura, e la vita quotidiana è determinata dalla luce del sole e dagli umori mutevoli dei fiumi, mentre gli animali domestici sono ancora indispensabili per il lavoro nei campi, e pure come mezzi di trasporto. La rete stradale, fatta eccezione per le grandi città, è composta per la maggior parte di sterrati, così che la via più praticata per il trasporto delle merci è l’Irrawaddy, il fiume più importante del Paese.

Con pochi dollari si può acquistare il biglietto per salire a bordo di uno dei traghetti che viaggiano lungo il fiume. La navigazione è lenta e scomoda, ma rimane comunque uno dei migliori mezzi di spostamento disponibili, ed offre oltretutto una visuale veramente straordinaria: dalle costruzioni artistiche buddhiste, pagode, templi e monasteri, fino al ritratto della vita quotidiana delle popolazioni che vivono lungo le rive. Nelle limpide giornate di sole le donne si radunano lungo la costa per lavare e asciugare i panni e talvolta, approfittando delle soste del traghetto, salgono a bordo per vendere qualche frutto, mentre gli uomini caricano sulle carrozze trainate da buoi la merce portata dalla nave stessa.

Molti sono i luoghi da visitare in Birmania: Yangon e la pagoda Shwegadon, una delle costruzioni religiose più belle al mondo, ma anche Bagan, la vecchia capitale con le sue centinaia di antichissimi templi, e Mandalay, la città più importante per i traffici commerciali, oppure Ngapali Beach, gradita agli amanti del mare. Tra le diverse attrazioni turistiche ce n’è una che colpisce particolarmente per una certa somiglianza con Venezia, ed è il lago Inle, il secondo lago della Birmania, lungo 22 km e largo 11, abitato dalla tribù Intha. Questo piccolo mondo che emerge dall’acqua ospita ben 17 villaggi: intorno alle case costruite su palafitte galleggiano le isolette con le coltivazioni di ortaggi e frutta. Ma nei pressi del lago si trovano anche monasteri, scuole e addirittura fabbriche artigianali di sigari, tessuti e lacche.

La Birmania rimane ancora oggi tra i Paesi più poveri del mondo, ma si può per certo dire che il suo popolo sia fra i più gentili, amichevoli ed ospitali del pianeta. Una ragione di questo si può forse cercare nei precetti della filosofia buddista, ben presente in ogni attimo della vita quotidiana.

Una larga parte della popolazione è rappresentata da monaci. Quasi tutti i genitori, in Birmania, vorrebbero che almeno uno dei loro figli diventasse monaco: credono infatti che questo sia un modo per ottenere benefici nella vita successiva, ma anche che sia la garanzia per avere una minima, necessaria istruzione, saper leggere e scrivere. Il monaco sopravvive grazie alle offerte dei fedeli e dispone di pochi oggetti personali: la ciotola per le raccolte, una coperta per dormire ed un paio di teli per vestirsi. La sua giornata comincia alle prime luci del sole con meditazioni e preghiere; prosegue uscendo per la raccolta delle offerte, soprattutto riso o frutta. Alle dieci del mattino i monaci si radunano nel monastero per consumare l’ultimo pasto della giornata; infatti dopo mezzogiorno non è più consentito nutrirsi fino al giorno successivo. Il pomeriggio, invece, è dedicato agli studi e alle scritture. Ovunque si percepisce in questi luoghi la profondità del pensiero religioso, e crea, anche per i non credenti, una sensazione magica e fiabesca.

Allora, a chi osserva, viene da chiedersi il perché di questo contrasto tra l’immensa ricchezza interiore di questo popolo e la condizione di miseria in cui vive. Si può forse dire che la fede nel karma abbia determinato un ostacolo allo sviluppo del Paese?

Guardando indietro nel tempo, ancor prima della Seconda Guerra Mondiale, la Birmania, già naturalmente legata al Buddhismo, era uno dei Paesi più sviluppati dell’Asia meridionale, in cui grande importanza avevano la libertà di pensiero, la stampa indipendente, la cultura letteraria. Ora invece questo stesso Paese si trova nell’elenco di quelli più poveri al mondo, con un altissimo indice di analfabetismo.
Nel 1962, grazie ad un colpo di stato, è giunta al governo una dittatura militare e, dal quel momento, il Paese è rimasto escluso dal resto del mondo, dal benessere e dalla legalità. Il governo militare non ha ceduto il potere nemmeno nel 1990 quando, per la prima volta dopo 30 anni, ebbero luogo elezioni libere e Aung San Suu Kyi (Premio Nobel per la Pace nel 1991), con il suo partito (Lega Nazionale per la Democrazia) vinse con 80% dei voti. Lo SLORC (Consiglio di Restaurazione della Legge e dell’Ordine di Stato) dichiarò non valide le elezioni e arrestò Aung San Suu Kyi; da quel momento per i seguenti 20 anni il leader dell’opposizione ha trascorso la vita agli arresti domiciliari.
Successivamente qualsiasi ulteriore tentativo di indirizzare il Paese verso la democrazia è stato brutalmente stroncato, come è accaduto in tempi recenti con la protesta dei monaci buddhisti.

Il 7 novembre 2010 dopo 20 anni di attesa in Birmania si sono svolte le nuove elezioni che avrebbero dovuto dare l’inizio alla cosiddetta Roadmap for democracy è il processo di transizione verso un governo civile della giunta.
Ormai è evidente che sotto la facciata delle elezioni democratiche il nuovo governo puntava a guadagnare l’approvazione della comunità internazionale.
Definite, comunque, “non credibili” dalle autorità dell’Onu, le nuove elezioni, molto probabilmente, come l’ultima volta, andranno a consolidare il potere dittatoriale.

L’unica in grado di rappresentare un cambiamento sarebbe potuta essere Aung San Suu Kyi, ma la sua candidatura non è mai stata accettata per il fatto di essere stata sposata con un cittadino straniero (un articolo della nuova Costituzione è stato appositamente creato per essere applicato al suo caso).

È evidente dunque, anche all’osservatore straniero, che in Birmania continui a regnare una dittatura con inaccettabili leggi elettorali, e che sono le continue violazioni dei diritti civili (come la consuetudine dei lavori forzati) che molta responsabilità hanno nel frenare lo sviluppo del Paese.
Probabilmente, in condizioni di vita disperate e di continua oppressione, che non lasciano intravedere alcuna via d’uscita, l’unica consolazione che rimane, di fatto, è la fede nella reincarnazione in una vita migliore, guadagnata con dolori e sacrifici.

Tutte le immagini di Olga Gomenyuk




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