Il Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23 ha creato molte aspettative riguardanti le “misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese (…)”. Diversamente da quanto annunciato, tuttavia, sono emerse, fino dai primi tentativi di applicazione del provvedimento, non poche criticità, che hanno disatteso le speranze di imprese e professionisti che avevano creduto a quello che era stato presentato come un pronto ed efficace sostegno alla propria attività, fortemente compromessa dall’emergenza Covid-19. È accaduto che il primo e principale problema decisionale riguardante l’erogazione – sotto forma di prestito - di liquidità agli interessati, ovvero la responsabilità di tale erogazione, è stato ribaltato sulla banche che, di fronte al fatto compiuto, hanno
dovuto molto rapidamente ottemperare a quanto deciso e disposto dal Decreto, ossia dalla Presidenza del Consiglio. All’atto pratico, in base alla richiesta adeguatamente documentata fornita dal cliente, attentamente esaminata e valutata, la banca decide a propria discrezione se dare corso alla richiesta. Il secondo passaggio, imposto per l’ottenimento della garanzia indispensabile per l’accesso al credito, prevede la valutazione da parte dello Stato che stabilisce definitivamente se dare la suddetta garanzia o se negarla. Quindi, in realtà, i soggetti, siano essi professionisti o imprese, vanno incontro ad una doppia attenta istruttoria, variabile a seconda della somma richiesta e secondo quanto prevede il Decreto. In pratica il procedimento si svolge come nell’ordinario, senza garanzie accessorie, con la presentazione dei documenti quali: visura della camera di commercio aggiornata, ultimo bilancio depositato corredato del modello di deposito, informativa della centrale rischi, se il soggetto non è già affidato, informativa - che inizialmente non sembrava necessaria - su debiti tributari, pignoramenti presso terzi, sequestri conservativi, ecc., come nell’ordinario, ma senza documenti reddituali, fideiussioni o pegni da parte dei soci, poiché non sono richieste garanzie accessorie. I tempi non sono affatto immediati come era stato dichiarato. Non essendovi garanzie accessorie, bensì quelle rilasciate da organi governativi, le risposte non sono, perciò, né rapide né automaticamente positive. Quanto agli interessi sul prestito, essi sono a carico del cliente della banca e vanno da 1,30% a 1,70%.
Comandante Generale della Guardia di Finanza dal 2012 al 2016, all’apice di una brillante carriera militare, il Generale Saverio Capolupo – laureato in Giurisprudenza, Scienze della sicurezza economico-finanziaria, Scienze politiche – è stato Membro del Consiglio di Stato, è Consulente degli Uffici giudiziari dello Stato della Città del Vaticano, Giudice tributario, Professore a contratto all’Università di Cassino e Consulente di Poste Italiane S.p.A. Notevole il suo contributo tecnico scientifico in materia economico-finanziaria-tributaria, reso negli anni e mantenuto ancora oggi con numerosissime pubblicazioni.
Generale Capolupo, secondo lei sarà possibile far fronte all’emergenza economica conseguente a quella sanitaria, nella quale si trova il Paese?
Dipenderà molto anche dalle risorse che riusciremo ad ottenere per coprire le carenze di liquidità delle imprese e delle famiglie dovute al blocco delle attività. Il problema non è tanto capirne le cause, bensì, in primo luogo, quante risorse sono effettivamente necessarie; in secondo luogo, verificare la effettiva necessità di coloro che chiedono il finanziamento (imprese, professionisti o persone fisiche) ivi compreso, ad esempio, coloro che possono aver svolto per anni un lavoro in nero, che possono avere avuto una doppia attività, oppure che godono già del reddito di cittadinanza; in terzo luogo come si impiegheranno queste risorse. Non basta averle. Un altro problema è quello della velocità d’impiego, una volta che sono state ottenute le risorse. Oggi, in Italia, abbiamo alcuni miliardi non impegnati. Basterebbe partire da quelli e vedere poi cosa accade con l’Unione Europea. Una parte di finanziamenti sono già arrivati e una parte arriverà. Quindi i fattori da valutare sono diversi, ma, alla base, occorre una deontologia professionale da parte di tutti nel chiedere le risorse che servono ed impiegarle effettivamente per ripartire. In teoria è semplice; in pratica non è difficile prevedere il sorgere di molti problemi, come, peraltro già sta avvenendo.
Il Decreto-Legge 8 aprile 2020 n. 23 promette di assicurare liquidità ad imprese e professionisti sotto forma di prestito che dovrà essere restituito entro sei anni, con decorrenza tra due e con modalità, in pratica, ben diverse da quelle inizialmente recepite. Non sarebbe possibile, invece, concedere un finanziamento a fondo perduto?
Un finanziamento a fondo perduto, che la massa ritiene necessario, presuppone da una parte, che si possa disporre di una liquidità che consenta di rinunciare al rimborso, tenendo presente che il debito arriverebbe al 160% del PIL e che, quindi, occorre fare attenzione a non fallire definitivamente; dall’altra, occorre che queste somme vengano impiegate effettivamente in start up, in imprese in crisi, in attività professionali bloccate. Certo, se ci fossero i fondi, almeno il 50% del finanziamento a fondo perduto, sarebbe auspicabile. Il problema è che i conti si devono fare con quello che si ha e con quella che è la prospettiva. Se lo Stato si indebita per sostenere il sistema economico professionale, poi, a sua volta, dovrà essere in grado di restituire il prestito. Se a fronte del mancato rientro, già stimato in 45 miliardi, si aggiunge che le somme devono essere restituite e che su di esse gravano gli interessi, 1% o 2%, ci si deve domandare se questi importi ci sono realmente. Ovviamente noi non abbiamo le risorse necessarie, ma se fossimo capaci di sopportare un indebitamento tale da poter finanziare a fondo perduto il sistema economico, questa sarebbe certamente la soluzione ottimale.
Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di un rimborso ad un tasso di interesse basso, comunque pari a quello che paga lo Stato. Lo Stato non ci deve lucrare. Al limite, come posizione intermedia, si potrebbe chiedere la restituzione del prestito di cui lo Stato si accolla per intero gli interessi. Potrebbe anche essere protratto di qualche anno il termine per il rimborso: da sei anni a dieci. Tutto questo, però, è condizionato, ripeto, al di là della volontà politica, al di là delle varie ideologie, dalla liquidità disponibile e da come deve essere ripartita, salvo poi a verificare che queste liquidità – ma qui veramente ci vorrebbe una forza immane per accertarlo - vengano effettivamente utilizzate per ripartire. Personalmente, essendo un uomo del popolo, direi: tutto a fondo perduto e ripartiamo. Questo però non è possibile perché non abbiamo le risorse. L’indebitamento non può essere fatto all’infinito. Poi, se si supera il 160% del PIL, come ho detto, si fallisce. Occorre anche salvaguardare i risparmi dei cittadini, perché c’è gente che ha delle liquidità in banca, che ha fatto degli investimenti che non possono essere loro “bruciati”, perché sono il frutto di una vita di lavoro. Certo la crisi, la difficoltà… ma pensiamo anche agli altri. Secondo il credo evangelico siamo tutti uguali, ma non è vero. Tutti abbiamo diritto di soddisfare le esigenze alimentari, vestirci adeguatamente, avere una vita dignitosa. Tuttavia, questo principio non può legittimare l’esproprio per prendere a chi ha risparmiato per dare tutto a chi non ha. Peraltro già è stata avanzata l’ipotesi da più parti di introdurre una patrimoniale, dimenticando che da pochi mesi è già stato introdotto un prelievo aggiuntivo per cinque anni per redditi superiori a 100 mila euro. Tornando alla domanda, penso che la soluzione più equa e meno pericolosa, che salvaguarda un po’ tutto, sia quella di stabilire un rimborso a dieci anni a tasso zero. Mi sembra la soluzione migliore tranne che per le attività per le quali effettivamente il danno si protrae nel tempo, come ad esempio per gli stabilimenti balneari, qualora non dovessero riaprire per la prossima stagione. Ad essi potrebbe essere concesso un contributo a fondo perduto. In ogni caso una distribuzione a pioggia è sbagliata.
Imprese e professionisti hanno subito perdite enormi che saranno aggravate dai costi da sostenere per la messa in sicurezza delle attività secondo le disposizioni governative. La liquidità alla quale potranno eventualmente attingere, nella misura stabilita dal Decreto, è subordinata alla decisione degli istituti bancari oltre che dello Stato. Queste modalità di accesso non rischiano, secondo lei, di rendere poco efficace e tempestivo il provvedimento?
Come dare ad imprese e professionisti questa liquidità è altro argomento che sta a valle. A monte sta la decisione di quanto denaro dare e come riaverlo.
Certo lo Stato non può erogare direttamente: si immagini cosa accadrebbe se distribuissero soldi senza alcun controllo, a tutti coloro che li chiedono. Se, ad esempio, fossero elargite somme a tutti coloro che sono in una situazione fallimentare, quel denaro, ovviamente, non sarebbe più recuperabile. Lo stesso risultato si avrebbe se fosse concesso a chi non ha nulla. I problemi sono diversi: uno è quello del sistema di distribuzione, un altro è quello della burocrazia, un altro ancora è quello della speculazione. Lo Stato non è in condizione di accreditare automaticamente le somme a tutti. Non le ha e non potrebbe nemmeno farlo. Quindi si rivolge al sistema finanziario. Lo Stato, qualora l’impresa o il professionista non siano in grado di restituire la somma avuta, si accolla il rimborso. Questo è un rischio enorme, se si pensa a tutti coloro che hanno lavorato in nero fino ad oggi e ad una, sia pure piccola, minoranza, di soggetti che vivevano di attività illecite, in totale sicuramente oltre un milione di soggetti, perché queste somme sarebbero già perse in partenza. Risulterebbe, allora, molto più logico, che lo Stato potesse avere una garanzia di rimborso a tasso zero. Sarebbe una scelta, a mio avviso, molto più seria, che vedrebbe lo Stato accollarsi il costo del finanziamento con la Banca Centrale Europea, con il Fondo Covid-19 o con il MES o con qualsiasi altro strumento di finanziamento.
Non possiamo pensare che lo Stato si possa accollare tutti i rischi, i quali, poi, si riverserebbero sulla collettività di chi paga: su di essi peserebbero, come al solito, anche i costi di coloro che, invece, non pagherebbero. In questa fase, a calcoli fatti, risulta che non è possibile fare più di quanto ad oggi stabilito. È chiaro che se la situazione migliorerà, con un prossimo Decreto, potrebbe aumentare la disponibilità.
Cosa è consigliabile nel frattempo?
In un mondo ideale ci dovrebbe essere un’alleanza Stato-cittadini per poter ripartire, perché se vogliamo farlo demandando tutto allo Stato, non andremo da nessuna parte. Questa situazione è come quella di un terremoto, di una guerra, dove c’è chi si arricchisce senza avere nulla e chi s’impoverisce avendo molto: dipende dalla dignità e dalla moralità delle persone.
Si pensi a quanto è elevato il rischio di insolvenza. Quanti di questi cento miliardi che si vanno ad erogare al mondo imprenditoriale, al mondo professionale, ai cittadini, ritorneranno? Il mio parere? Meno del 50%. Non ho elementi, vado per intuito. Sarà un altro peso che andrà a gravare sullo Stato e sui cittadini. Quindi non tiriamo troppo la corda perché si potrebbe spezzare. Se lo stato fallisse, falliremo tutti.
Forse la strada del fallimento l’abbiamo già imboccata…
Sono d’accordo su questo, ma se noi continuiamo a percorrerla anziché fare “dietrofront”, come direbbero i militari, se non ci muoviamo in direzione opposta, è chiaro che finiamo. Prendiamo ad esempio il caso della Germania che sarà pure egoista, poco europeista, ignara della propria storia e di quello che ha fatto l’Europa per lei con la caduta del muro di Berlino, però è vero che anche noi abbiamo delle colpe. Colpe che in parte sono di questo Governo, in parte di quelli precedenti, in parte degli stessi cittadini. Occorre avere il senso civico della partecipazione alla spesa pubblica e non ricorrere a furbizie che non portano da nessuna parte. In questo modo il castello crolla. Infatti sta crollando, perché anziché essere tutti uniti a sorreggerlo, ognuno cerca di prendere qualcosa e di portarsela via. Così si sgretola. Sono molto arrabbiato. Ci sono tante cose che non condivido; lo Stato deve spendere con la logica della famiglia e, quindi, non può spendere più di quanto dispone: indebitamento si ma non all’infinito.
Vi sono categorie economiche, come quelle che lei ha citato, per le quali la situazione è maggiormente grave. Come intervenire equamente con tutte?
È indubbio che il turismo ha subito un blocco totale. Gli alberghi, i ristoranti, gli stabilimenti balneari hanno interrotto le loro attività anche per molti mesi. Effettivamente non possono ricevere quanto il commerciante che è rimasto chiuso due mesi. Il calcolo da fare è a quanto ammonta il mancato guadagno. In realtà stiamo generalizzando un ragionamento che deve essere diversificato per attività economiche. Se un artigiano non lavora per sei mesi come fa a vivere? Ricordiamo però che esiste anche la cassa integrazione guadagni che copre chi è rimasto senza lavoro.
Qual è il suo parere sulle decisioni politiche in questo periodo di emergenza?
Sono molto critico. Questo Governo ha commesso certamente degli errori, alcuni oggettivamente inevitabili considerato che nessuno conosceva questo virus: questa è la mia valutazione politica, perché in un momento come questo è necessaria unitarietà di intenti tra maggioranza e opposizione, salvo fare la conta una volta usciti dalle emergenze affinché ognuno risponda dei propri errori e delle proprie responsabilità. Non la possiamo fare nel momento in cui dobbiamo salvare le persone. Non lo possiamo fare adesso con gli spot in televisione. Il Paese si sta dimostrando ancora una volta ignaro di quella che è la sua storia, ma se non ne abbiamo memoria come possiamo costruire il futuro?
In questo momento, ripeto, opposizione e maggioranza dovrebbero collaborare, senza usare gli effetti della pandemia come strumento per aumentare il consenso elettorale. Occorre maggiore senso dello Stato. Si prenda esempio dalla Germania, dall’Olanda, dalla Francia e dal Portogallo. Normalmente le crisi uniscono e non dividono. Noi siamo l’unico Paese europeo diviso in modo irreversibile. È veramente assurdo. Com’è possibile presentarsi a livello internazionale dichiarando che nell’ambito della maggioranza c’è chi vota contro? Quale attendibilità, quale credibilità si può mai avere quando chi ti sostiene dice il contrario di quello che dici tu? Non va bene, come non vanno bene i morti che ci sono stati nelle RSA. Migliaia e migliaia di persone anziane lasciate morire. Non capisco come, in questa situazione, ci sia chi cerca di portare acqua al suo mulino.
Essendo un idealista, ravviso la necessità di una convergenza di forze di serietà, di trasparenza, di onestà, di spirito costruttivo, di senso dello Stato da parte di tutti per evitare che la barca affondi. Se non si è uniti non si approda, sarà un naufragio.
Riguardo alla ripartizione dei finanziamenti, secondo lei chi deve decidere cosa dare e a chi?
Questo è un altro tema. Ancora non si è capito perché ognuno difende le sue posizioni. Chi dice una cosa, chi ne dice un’altra. Dimentichiamo che in un momento come questo la voce dovrebbe essere una sola: quella del Presidente del Consiglio, il quale dovrà poi rispondere politicamente, e al limite in altre sedi, delle scelte fatte, degli indirizzi emanati, delle decisioni assunte e di quello che non ha fatto e avrebbe dovuto fare, ma non adesso. Sono anche critico ad esempio con certe indagini. Perché non aspettiamo un mese per partire? Che urgenza c’è di farlo subito e mettere sotto accusa alcune categorie che invece stanno dando la vita? Ci sono sicuramente degli errori. Noi siamo un Paese che non ha coerenza.
Gli errori li facciamo tutti e probabilmente ne ha fatti anche il Presidente del Consiglio e, probabilmente, ne commetterà altri, ma stare all’opposizione è troppo comodo: è tutto sbagliato per principio. Il giudizio dovrà essere fatto una volta usciti dalla pandemia, ora è prematuro. Se diamo mille o duemila euro a tutti e non abbiamo la liquidità, riusciamo poi a recuperare sul mercato senza fallire?
A quanto ammonta l’effettiva disponibilità?
Quanti soldi ci sono e quanti ne servono effettivamente non la sa nessuno. Certo noi non abbiamo una economia come quella degli Stati Uniti. Se ci verranno dati finanziamenti per quattrocento miliardi, penso che dovrebbero bastare per ripartire, sempre che vengano effettivamente utilizzati per la ripartenza in modo che il sistema economico professionale decolli. È necessario far ripartire anche il mercato immobiliare, le ristrutturazioni edilizie, i servizi, il commercio, ecc..
Quello che al momento non sappiamo è quante risorse riusciamo ad acquisire sul mercato. Dipenderà anche dal tasso di interesse. Più alto è lo spread, più aumentano gli interessi passivi e più aumenta il debito. Credo che dovremmo far lavorare di più i tecnici ed ascoltarli, perché sono gli unici che ci possono fornire un quadro reale. Purtroppo, invece, prima si fanno gli annunci e poi si trovano (forse) le risorse. Non funziona così. Prima si determina quanto è possibile spendere, poi si spende. Perché se si dichiara di avere mille e si ha cento, gli altri novecento dove si vanno a prendere?
Non dovrebbe forse esserci anche un’unitarietà decisionale, a cominciare dalla gestione dell’emergenza sanitaria che poi si riflette su quella economica?
Tra le regioni, invece si verifica che alcune decidono di eseguire il tampone a 100.000 persone, altre a 50.000, altre ancora a 80.000 ed infine vi sono quelle che stabiliscono di non farlo. In queste condizioni come si fa a sapere quanti soldi occorrono, se ognuno va per conto suo? Ecco che è chiaro qual è un altro problema. Quando negli anni Settanta scioperavo perché ero contro la costituzione delle Regioni, avevo ragione: come si può constatare, ognuna va per conto suo.
Siamo ancora rimasti al Nord e al Sud. È un fatto inaccettabile. Sono morti centinaia di migliaia di uomini di Bolzano a di Enna per fare costruire questo Paese.
Dal 1860, dall’unità d’Italia, sono passati 170 anni. Basta continuare a parlare di Nord e Sud, visto anche il totale fallimento del federalismo.
Ricordiamoci di quando il Nord andava al Sud e ne sfruttava i vantaggi. La gente ha la memoria corta. Al di là della morfologia del Sud, se la Calabria è tutta montagnosa non è colpa di nessuno, bisognerebbe ricostruire un po’ la storia. Noi non andiamo da nessuna parte se non abbiamo memoria del nostro passato, che è memoria sacra, e consapevolezza del presente.
La grandezza del nostro passato dovrebbe essere da guida e sprone per il futuro; invece assistiamo ad un gara dell’egoismo, degli interessi personali, della irresponsabilità politica.
Resta il fatto che vi sono differenze oggettive, ad esempio di carattere storico, culturale, sociale, tra Nord e Sud, tra regione e regione, che costituiscono anche la ricchezza dell’Italia. Qual è allora la soluzione al problema?
Se non riusciamo ad omogeneizzare le culture o almeno a farle convergere, in questo momento, verso una posizione del Paese unitaria, quanto potrà ancora succedere? Questa pandemia è peggio di una guerra. I morti sono più di quelli della seconda guerra mondiale considerando il periodo di soli due mesi. Si dice che siano circa 28000, ma sono sicuramente 40000. Abbiamo fatto morire circa 8000 persone nelle RSA. Questa è la vergogna. In Lombardia rappresentano il 45% dei decessi. Anche nel Lazio ci sono stati gli stessi problemi sia pure in misura minore. L’analisi di quanto accaduto andrebbe fatta sul piano politico, economico, culturale, sociologico, perché non può essere limitata ad un unico aspetto del problema, perché questo ha mille sfaccettature. Non si può esaminare da un solo punto di vista. Intanto sarebbe bene, una volta per tutte, l’eliminazione dei “furbi” dalla faccia della terra. In Italia occorre creare una forza unitaria che consenta, anche sul piano internazionale, di presentarsi con un potere contrattuale decente. Che senso ha andare a Bruxelles, al Consiglio d’Europa, quando si sa che il Governatore della Lombardia spara contro quello della Campania, il Veneto va per conto suo, la Toscana non è da meno. È forse un bell’esempio questo? Il problema sono le Regioni, non ho dubbi. Aumentano i problemi anziché ridurli.
Cosa potrebbe essere fatto adesso?
In questo momento nulla. I conti si fanno dopo. Le battaglie ideologiche non si possono fare adesso. Da ex soldato e uomo dello Stato quale mi ritengo tuttora, occorrerebbe un po’ più di senso del Paese, delle istituzioni, un po’ di nazionalismo, inteso in senso nobile del termine, sentirsi un po’ più uniti. È inutile mettersi uno contro l’altro. In Italia manca spesso il senso dell’istituzione. Alcuni esponenti, anziché preoccuparsi del Paese, si preoccupano della pubblicità, in modo che alle prossime elezioni possano essere rieletti. Che importanza ha essere rieletti in questo momento se si deve salvare il Paese? Questo atteggiamento porta all’autodistruzione.
Dietro queste emergenze, a suo parere, cosa si trova: grandi speculazioni finanziarie?
Che ci sia una speculazione finanziaria è evidente. È quella dei grandi fondi internazionali. Si parla addirittura di scommesse miliardarie. In tutte le crisi la speculazione finanziaria non viene mai meno.
Potrebbe esserci una regia, nel caso, finalizzata a quale obiettivo?
Se ci sia o meno una manovra a livello europeo internazionale posso solo ipotizzarlo. È chiaro che questa pandemia ha fatto emergere il nazionalismo. Ognuno va per conto suo, ancorché in parte comprensibile. Se non ci sarà un contributo concreto, si potrà riflettere sul futuro dell’Unione europea. Ma una cosa è certa: un Paese con 7 milioni di abitanti come l’Olanda non può certamente porre un veto a Italia, Spagna, Portogallo e Francia, che rappresentano 185 milioni di persone. Si sta dimostrando che il sistema di gestione dell’Unione europea non può più andare avanti e si sta anche dimostrando, in maniera abbastanza evidente, che la Germania fa la parte del leone. Allora, o noi riequilibriamo i poteri nell’ambito dell’Unione Europea, rafforziamo certi valori di solidarietà, di supporto reciproco e facciamo un discorso federalista unitario, o, diversamente, l’Unione Europea non va da nessuna parte e rischia di sfasciarsi.
Non potrebbe esservi una manovra per indurre l’Italia ad uscire dall’Unione Europea?
No, perché sarebbe un suicidio. L’Italia è uno dei sei Paesi che ha costituito l’Unione europea, uno dei Paesi fondatori. Non può uscire perché avrebbe un tasso di inflazione così forte e reggerebbe. Chi garantirebbe il debito pubblico? Che l’Italia – lo dico da europeista convinto – possa uscire dall’Unione europea da sola, non lo credo. Se il giocattolo faticosamente costruito si rompe, ognuno tornerebbe alla propria moneta... Vediamo cosa succederà. Le prossime settimane saranno la prova.
Lo hanno capito anche i tedeschi: è vero che noi siamo messi male, ma se uscissero Italia e Francia, dove andrebbero i tedeschi? Devono esportare… e il resto d’Europa dove andrebbe?
Pensa che l’Unione europea possa reggere?
Non può, deve reggere. Non lo metterei in discussione. Se si rompesse l’Unione europea non so come finirebbe con gli avvoltoi dei mercati finanziari.
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