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9 apr 2013

La sostanza dell'arte. Massimiliano Caretto e l'altra faccia della pittura europea

La sostanza dell'arte. Massimiliano Caretto e l'altra faccia della pittura europea

Autore: Anonym / martedì 9 aprile 2013 / Categorie: Attualità, Arte, Italia / Vota questo articolo:
4.3
Forse è iniziato con il cinema, che si è accorto della potenza luministica racchiusa in quel mondo, o forse con la moda, che ha visto il consolidarsi di tagli regolari, asciutti e fantasie con colori di rara bellezza; non è chiaro, insomma, a cosa si debba il ritrovato interesse per l’arte fiammingo-olandese che da qualche stagione ha ripreso a circolare in esposizioni ad hoc nei più importanti musei d’Europa e del mondo. Da più di un anno, e ancora nei mesi a venire, l’Italia vive la stessa “mania” e l’enorme successo di pubblico – e spesso di critica – che ogni mostra su un autore o una dinastia incontra ne è la prova. “Brueghel. Meraviglie dell’arte Fiamminga” al Chiostro del Bramante di Roma fino al 2 giugno, è forse il caso più eclatante della potenza evocativa che l’arte d’oltralpe riesce a suscitare. Massimiliano Caretto, in veste di consulente tecnico, è uno degli attori cui a tale esposizione deve un esito così felice. La passione non ha età, neppure se per i tuoi colleghi hai “solo” 26 anni.


Prima di raggiungere la sua forma attuale, la mostra è passata attraverso due trasformazioni – Como e Tel Aviv. Qual è la formula di questo successo?

Una miscela di cause interne ed esterne. Da molti anni mancava una rassegna dedicata a questo tema e raramente si sono visti progetti simili in Italia: possiamo quindi dire che la “domanda” di una mostra come questa era piuttosto forte e il numero dei visitatori lo conferma. Poi c'è stata la capacità di rinnovare sempre qualcosa: dal percorso di visita alle opere esposte, il progetto non è mai stato uguale. A Roma, ad esempio, è stato dato ampio spazio alle origini della modernità bruegheliana in confronto col raffinato manierismo anversese, mentre a Tel Aviv sono stati sviscerati i rapporti di collaborazione che legavano i vari discendenti della dinastia.

Nonostante l’apprezzamento del pubblico, alcuni critici hanno lamentato l’assenza delle grandi opere dei Brueghel. Da consulente tecnico come risponde a tale critica?

Non si può parlare di assenza delle opere “dei Brueghel”. Semmai di scarsa presenza di Pieter Bruegel il Vecchio, cioè il fondatore della dinastia: capisco l'obiezione, anche se troppo avventata. La mostra, è ribadito esplicitamente in qualsiasi comunicato, è dedicata a un'intera famiglia e non vuole essere una rassegna monografica, da cui l'uso del cognome Brueghel con l'H, che distingue la dinastia dal suo fondatore.
Avrei voluto una maggiore presenza delle opere di Pieter Bruegel il Vecchio, ma quelle sul suolo italiano sono entrambe inamovibili per ragioni conservative, mentre quelle all'estero non sono giunte per una serie di concause: i costi, insostenibili in un periodo come questo, nonché la malcelata recrudescenza dei poli museali stranieri a prestare opere all'Italia. Sarebbe stato puerile, dunque, non capire che certi problemi esulano da una mostra per rimandare a dinamiche un po’ più complesse. Tengo a ricordare che è presente la grande “Resurrezione” di Pieter Bruegel il Vecchio, oltre ad un’opera di Hieronymus Bosch, mai esposta in Italia prima della tappa comasca di questa rassegna.

L’arte fiamminga, in particolare quella che va dal XV al XVIII secolo, sta attraversando un momento di ritrovato interesse internazionale. Quali sono i punti di continuità e quali quelli di rottura rispetto a quella italiana e, più in generale, europea?

Constato anch’io, con entusiasmo, un interesse sempre crescente per il mondo fiammingo-olandese. Rubens a Villa Olmo, I nostri Brueghel, Vermeer al Quirinale, il film “Il Mulino e la Croce” di Majewski, inoltre presto giungerà la “ragazza con l'orecchino di perla” a Bologna, portando con sé un museo di spaventosa bellezza: il Mauritshuis dell'Aia. Ho da poco saputo che la maison Valentino ha deciso di dedicare a Vermeer un'intera collezione. Ma cosa fu questa straordinaria stagione artistica? Dell'arte fiammingo-olandese amo ripetere un concetto breve ma efficace: è l'altra faccia della pittura europea. Dove l'arte non fu italiana, fu delle fiandre, se ne resero conto anche gli stessi grandi artisti italiani del passato. Essendo due facce della stessa medaglia, dunque, si può dedurre facilmente che furono due modi molto differenti di creare arte e leggere il mondo. L'arte italiana fu arte di teoremi, di idealismi e di visioni complessive. Il mondo delle fiandre, invece, preferì suggestioni e intuizioni a schemi troppo espliciti, creando una visione unica della realtà, alla ricerca dell'intima essenza del mondo, lasciando gli idealismi, appunto, al mondo mediterraneo, più affine alla classicità. Poi, certo, i punti di scambio e contatto furono plurimi, felicissimi e reciproci, ma, per riassumere, l'arte italiana e quella delle fiandre sono lo specchio delle due anime europee. Quest'arte, lenta, ricca di contenuto, interessata ai valori universali ha in queste caratteristiche il motivo principale del rinnovato interesse attuale: il mondo è esausto, saturo di tanto ciarpame senza valore alcuno, c'è voglia di sostanza.

Da italiano perché l’arte fiamminga? È un amore esclusivo o lo divide con altre passioni?

Non è sempre stato così. Quando iniziai a interessarmi all'arte, a 13 anni, ero letteralmente ossessionato dal più puro e smagliante quattrocento toscano, quello delle dolcissime Madonne tonde di Botticelli, per intenderci. Poi, gradualmente, mi resi conto che l'arte fiammingo-olandese aveva qualcosa di meno ma anche qualcosa di più rispetto a quella italiana. Da lì è iniziato un percorso di scoperta-amore, quasi una maturazione iniziatica, che dagli immensi primitivi fiamminghi mi ha portato a quegli autori più difficili del mondo olandese del ʼ600. Rembrandt, ma anche il mondo delle nature morte, piuttosto che David Teniers o Adriaen Brouwer, artisti che richiedono un certo tipo di esperienza e maturazione: del resto “dimmi cosa ti piace e ti dirò chi sei”. A questo, va aggiunto che per me l'arte fiammingo-olandese è memoria genetica. Ho iniziato a lavorare in questo campo relativamente da poco, assieme a Francesco Occhinegro che condivide con me la passione per questo lavoro, ma devo ricordare che mio padre si occupa di arte fiammingo-olandese, così come fecero mio nonno e il mio bisnonno. Oggi posso dire che li capisco pienamente e che non potrei fare a meno di tutto il Sapere che quei grandi autori ci hanno regalato per sempre.
L'altra mia grande passione è l'archeologia, in particolare quella sumera e sudamericana. Mi interesso anche di paleontologia e di epica: credo in una visione retrospettiva della conoscenza.
Infine, cambiando completamente campo, spasimo letteralmente per l'alta cucina, non mi vergogno di dire che non mangio per vivere, ma vivo per mangiare!

Conferenziere, divulgatore e storico dell’arte a 26 anni. Che cosa vuole fare Massimiliano Caretto da grande?

In verità io altro non pratico che quel mestiere che racchiude in sé tutte queste cose: il gallerista.
Occuparsi d'arte sotto quest'aspetto ti costringe a essere tante cose, tra cui quelle citate: bisogna saper avvicinare la gente alle opere, come un divulgatore. Bisogna sapersi adattare a qualsiasi interlocutore, come un conferenziere. E bisogna saper svolgere ricerche storiche e studi attributivi con grande perizia, come uno storico dell'arte.
Inoltre si crea un rapporto speciale con le opere d'arte, un autentico affetto. Ogni dipinto diventa una storia, un momento un episodio della propria vita e il primo investimento che si compie sulle opere è quello della fiducia, è un “credere” nelle loro qualità e trovare per loro un'altra persona che se ne innamori. Sostanzialmente è fare della propria passione il proprio lavoro e del proprio lavoro la passione altrui.
Non saprei trovare un mestiere per me più bello e appassionante di questo.


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