24 marzo 1980: il vescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero viene assassinato in cattedrale durante la messa del pomeriggio. Paga con la vita il suo essersi schierato coraggiosamente a favore dei deboli e degli oppressi, contro la violenza delle istituzioni di El Salvador e dei ricchi proprietari terrieri schierati contro i poveri e soprattutto contro i contadini. Alla vicenda di Monsignor Romero - proclamato beato un anno fa dal primo Papa latinoamericano come lui, Jorge Mario Bergoglio – è dedicato “Il martirio del pastore”, il testo (opera dell’autore costaricano Samuel Rovinski) scelto dall’Istituto del Dramma Popolare per la Festa del Teatro di San Miniato 2016: quella in cui il prestigioso appuntamento estivo toscano compie 70 anni. Settant’anni sempre nel segno di una drammaturgia incentrata su temi religiosi e spirituali e di testi nuovi o, quanto meno, mai rappresentati in Italia. Per la messa in scena de “ll martirio del pastore” l'Istituto del Dramma Popolare si è rivolto ad un regista come Maurizio Scaparro, che ha realizzato con stile uno spettacolo curatissimo e ben equilibrato grazie alla sua attenta sensibilità poetica e teatrale. L'adattamento di Eleonora Zacchi condensa il testo in un'ora e un quarto circa, rendendolo più serrato e compatto, anche se la sua efficacia teatrale, alla lunga, si affievolisce nella misura in cui l'azione e il succedersi incisivo degli eventi lascia il posto soprattutto ai discorsi e alle prediche dall'altare (sia pure di eccezionale valore umano, civile e cristiano), di Romero-Antonio Salines. A lungo, comunque, appare incalzante ed intensa la ricostruzione tesa e drammatica di un momento e di una situazione politica e sociale tragici e sanguinosi, segnati dalla prevaricazione, dalla violenza e dal delitto. Scopriamo, all'inizio, che Romero era il candidato al posto di vescovo di San Salvador, voluto proprio dall'oligarchia e dal potere in quanto prelato “moderato”, lontanissimo dalle prese di posizione di buona parte della Chiesa salvadoregna costantemente in difesa degli umili e dei poveri. In particolare si erano schierati contro ricchi, governo ed esercito, i gesuiti. Piano piano, però, una volta diventato vescovo, non senza qualche rimorso per la presa di coscienza solo tardiva della situazione, Monsignor Romero diventa a sua volta un paladino degli oppressi, capace di dire con coraggio e proclamare anche dall'altare come stavano davvero le cose. Fino all'ultima omelia, memorabile, in cui comanda – con la massima inflessibilità e decisione – ai soldati di non obbedire agli ordini dei superiori, se ingiusti o addirittura criminali. Salines è un Romero pacato, di grande carisma, ma anche energico – sempre più – e autorevole: forse un po' troppo vicino al cliché, pur nobile, dell'uomo di Chiesa e di religione. Tra gli altri interpreti – tutti puntuali e adeguati - spiccano Gianni De Feo (padre Grande, il gesuita prima vittima ecclesiastica del Potere) ed Edoardo Sirivo, che è l'Oligarca portatore – impietoso anche se misurato nei toni – delle ragioni dei malvagi oppressori. Di estrema suggestione la colonna sonora, comprendente canzoni latinoamericane autentiche, una delle quali scritta proprio - a suo tempo - per il “martire” Romero. In ogni caso, uno spettacolo che è un saggio di teatro d'alta scuola, che sarebbe un peccato veder morire con questo suo primo allestimento senza riprese invernali.
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