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IL LAGO DEI CIGNI OVVERO IL CANTO

IL LAGO DEI CIGNI OVVERO IL CANTO

Fabrizio Monteverde legge Čajkovskij con gli occhi di Čechov affidando al Balletto di Roma l’interpretazione della sua nuova coreografia.

Autore: Anonym/giovedì 13 novembre 2014/Categorie: Attualità, Danza, Teatro, Italia

“Il Lago dei Cigni ovvero Il Canto” debutta sabato 15 novembre al Teatro Comunale di Ferrara. Cosa significa, per un titolo che non ha bisogno di presentazioni, la specifica “ovvero Il Canto”? Perché questa licenza su un’opera musicalmente, stilisticamente e scenograficamente perfetta?

Forse perché i classici sono rimasti gli unici veri interpreti del nostro tempo e la loro voce, se riascoltata, può addolcire molte asperità della vita. Questa potrebbe essere una delle possibili motivazioni che ha spinto Fabrizio Monteverde a collaborare ancora una volta con il Balletto di Roma. Non fosse che di asperità, nella sua rivistazione coreografica che unisce Čajkovskij a Čechov, l’autore ne abbia distribuite a piene mani. 

I danzatori, prigionieri della scena come l’attore narrato nell’opera “Il Canto del Cigno”, rivivono l’ennesima rappresentazione del “Lago” e, ormai vecchi e consumati da quei gesti che hanno ripetuto per tutti gli anni della loro giovinezza, dipingono uno scenario desolante. Vecchiaia e consunzione si riflettono nei loro corpi e nei loro costumi: grassezza, tremore, calvizie, canizie sono le catene fisiche che legano il corpo alla materia e, ancora più strette, sono quelle spirituali. 

Scegliendo una serie di momenti topici dalla partitura musicale originale – anche affidandosi alla ripetizione – Monteverde scava nel timore dell’uomo per l’avvicinamento a quello spazio della vita che è il più prossimo al suo termine e lo interpreta coreograficamente con le figure che il suo talento creativo è capace di evocare, unendolo ad un linguaggio danzato che scavalca i canoni del puro stile contemporaneo. 

La Compagnia è, insieme, il centro dell’attenzione e la sua periferia: rinunciando alla bellezza i danzatori si proiettano in una dimensione altra, dove il gesto, prima di essere enunciato di plasticità e vita, è necessità di concretizzarsi come viventi, di mutarsi per spostare in avanti la linea della fine. 

Ancora una volta Fabrizio Monteverde firma l’abito nuovo di un classico con la sua drammaturgia fatta di equilibri e dinamismo e li spinge verso quella climax che conduce il pubblico alla catarsi.


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