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UN INSOLITO SHAKESPEARE A MISURA D’ATTORE

UN INSOLITO SHAKESPEARE A MISURA D’ATTORE

Fluido e intrigante “Misura per misura” diretto e interpretato da Jurij Ferrini che guarda al “romanzo d’appendice” e a Pirandello.

Autore: Anonym/domenica 5 febbraio 2017/Categorie: Attualità, Teatro, Italia

Torino -Teatro Gobetti - 18 dicembre 2016
MISURA PER MISURA, di William Shakespeare, traduzione di Cesare Garboli. Regia di Jurij Ferrini. Regista Assistente Marco Lorenzi. Con Jurij Ferrini, Elena Aimone, Matteo Alì, Lorenzo Bartoli, Gennaro Di Colandrea, Sara Drago, Francesco Gargiulo, Raffaele Musella, Rebecca Rossetti, Michele Schiano di Cola, Marcello Spinetta, Angelo Tronca. Scene di Carlo De Marino. Costumi di Alessio Rosati. Luci di Lamberto Pirrone. Suono di Gian Andrea Francescutti. Prod. Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

Un testo shakespeariano non è mai quello che è, nasconde al suo interno (sia dal punto di vista della struttura teatrale che dei temi, perfino della trama) possibilità di lettura, di analisi, d’interpretazione svariate, per non dire infinite, che vanno dalle più semplici alle più complesse, da quelle più immediate a quelle più arcane e ambigue, in una sovrapposizione spesso perfettamente coincidente di opposti significati e segni espressivi da offrirci in simultanea il dramma apparente e il suo doppio invisibile. Da questo punto di vista, Misura per misura ne rimane l’esempio più clamoroso, come si trattasse di due testi differenti che procedono in parallelo, uno di fianco all’altro, inseparabili, ma con due facce, due drammaturgie diverse: una di commedia picaresca, quasi brillante, comica; la seconda, di tragedia sognata. Per non parlare della lingua, in questo preciso caso tutta da ricostruire, da inventare. Di questo testo ho in mente due versioni sceniche: quella di Luigi Squarzina del 1977 (di cui ha curato pure la traduzione) allestita in chiave “politica”, come si trattasse di un dramma sociale, e quella di Luca Ronconi del 1993 proposta in maniera simbolica, con la folgorante idea della città di Vienna come grandiosa metafora del teatro; ebbene, lo spettacolo di Jurij Ferrini, in qualche modo, le contiene e le supera entrambe. Nella versione di Ferrini, il plot è tutto: ritmo, azione, rivelazioni improvvise, furti di identità, incroci amorosi, peripezie degne del “Conte di Montecristo”, a cui non è comunque estranea, soprattutto nelle scene iniziali, la fertile e inedita linea che sembra ricondurre Shakespeare a Pirandello. Nutrendosi verbalmente di quella succulenta ed originale traduzione che Cesare Garboli compose per l’edizione ronconiana, rinvigorendone la sintassi teatrale, e qualche volta il lessico, transitando con imperturbabile disinvoltura, ma senza indifferenza, da un genere teatrale “alto” ad uno più in basso, sfiorando anche l’aspetto involontariamente comico delle svariate situazioni, il regista e interprete principale della commedia nei panni del Duca di Vienna, ci regala un pezzo di teatro vero da seguire e immergersi dentro come un romanzo d’appendice con i suoi “colpi di scena” messi al punto giusto, la partecipazione emotiva a quelle vicende rappresentate, altresì non disgiunta da una calibratissima e coltivata distanza “epica”, senza alcuna concessione al facile effetto spettacolare, anzi tenendo sotto stretta sorveglianza l’idea di un teatro di ricerca anche popolare, come ci tramanda l’esperienza teatrale di Leo de Berardinis. In questo modo l’azione risulta estremamente fluida, non interrotta dai tanti quesiti di ordine morale, legale, di giustizia che il testo contiene. Ciascun personaggio, ciascun evento descritto nella commedia ha una sua misura che spesso entra in conflitto e contraddice quella degli altri: compito del regista e degli interpreti, come suggerisce Peter Brook nel suo libro La qualità del perdono, è di cercare di mantenere un equilibrio fra i reciproci ideali, anche quelli religiosi rappresentati da Isabella, e le rispettive miserie umane di cui tutti i personaggi incarnano vizi e virtù mescolati insieme. Bravissimi tutti gli interpreti nel restituire ai loro personaggi quel tanto di “non finito” che ci permette di intravvedere l’ombra del loro opposto, l’oscuro oggetto del desiderio.

© Photo: Bepi Caroli

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