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MARIO SIRONI 1885 – 1961

MARIO SIRONI 1885 – 1961

Il Complesso del Vittoriano sceglie le solitudini di Sironi per continuare il suo percorso di riscoperta dei Maestri del Novecento italiano.

Autore: Anonym/domenica 5 ottobre 2014/Categorie: Attualità, Arte, Italia

“Avete un grande artista, forse il più grande del momento, e non ve ne rendete conto”, a pronunciare queste parole era Pablo Picasso che di arte, oltre a farne, sapeva soprattutto venderne. L’artista a cui si riferiva era Mario Sironi a cui oggi il Vittoriano di Roma dedica una grande retrospettiva che ne ripercorre l’intera carriera. Fino all’8 febbraio 2015, l’esposizione del Complesso è modulata sugli scenari della solitudine e della forza di questo Maestro della pittura contemporanea; di opera in opera, dischiude ai visitatori un punto di vista inaspettato sul periodo fascista e, in un certo senso, sull’oscurantismo culturale che ha rappresentato l’antifascismo. 

Dal Simbolismo, spesso dimenticato come dimenticato è stato per troppo tempo il nome di Sironi, la mostra va ramificandosi sulle evoluzioni del pennello e dell’anima dell’artista che passa con destrezza al Divisionismo, al Futurismo – pur non condividendone appieno i principi – alla Metafisica, fino alle opere monumentali. Se in ogni cambiamento di rotta la solidità del rappresentato, la matericità, l’elemento che rende l’uomo un essere assolutamente terreno e irrimediabilmente compromesso dal dolore dell’esistenza, sono aspetti che rimangono immautati, nell’illustrazione, altra faccia del lavoro di Sironi, si innalza la leggerezza aerea di un pensiero che non conosce le stanchezze mortali. 

Tanti i meriti di questa esposizione: primo su tutti quello di aver radunato insieme un corpus di opere disseminato in modo frammentario in alcuni dei più importanti musei italiani e in collezioni private, e di averlo disposto con una coerenza sia cronologica che intellettuale; aver scelto l’illustrazione come contropartita di un unico grande rumore di fondo che caratterizza la pittura di Sironi e la rende a tratti cupa e alienante; non aver censurato l’ideologia fascista di cui la sua opera si nutre e, anzi, averne fatto un punto di partenza. Proprio qui, con il supporto di diversi carteggi, lettere private, testimonianze di persone vicine ad un uomo per natura lontano e schivo c’è, forse, il più alto dei meriti: il superamento dell’antifascismo che ha negato per anni agli italiani un Maestro del loro presente, privandoli della possibilità di riflettere su una pittura che è “una lezione di tragedia, non c’è pittore che valga i suoi quadri”, affernazione quest’ultima di Gianni Rodari. 

La mostra è a cura di Elena Pontiggia in collaborazione con l’Archivio Sironi di Romana Sironi; le opere esposte provengono, fra gli altri, dalla GNAM di Roma, da Ca’ Pesaro e Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, dal Mart di Trento e Rovereto, dalla Pinacoteca Comunale di Faenza, dal Palazzo Romagnoli di Forlì, dalla Pinacoteca di Brera e il Museo del Novecento di Milano e dalla Galleria d’Arte Moderna “E. Restivo” di Palermo.

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