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Massimiliano di Franco e il Bridge. Come è nato un campione del mondo

Massimiliano di Franco e il Bridge. Come è nato un campione del mondo

Una carriera straordinaria quella del giovane (il 30 di ottobre compirà 27 anni) con una grande passione per il Bridge, nata sui banchi della Scuola Media Marconi di Palermo.

Autore: Rita Sanvincenti/martedì 27 ottobre 2015/Categorie: Attualità, Italia, Sicilia

A soli 16 anni, nel 2004, era già campione italiano di Bridge nella categoria Under 25: un titolo che ha conseguito anche nel 2007 e nel 2009. È Massimiliano di Franco, palermitano, classe 1988, studente della Facoltà di Giurisprudenza, diventato poi campione del mondo a coppie Under 25 ad Atlanta nel 2013, dopo essere stato vice campione del mondo a squadre Under 25 ad Istanbul nel 2009, vice campione europeo a squadre Under 25 ad Albena nel 2011. Nel 2014 ha vinto la Coppa dei Campioni europea con il Team Lavazza; nel 2014 e nel 2015 è campione italiano a squadra Open con il Team Lavazza; nel 2015 è vincitore del Torneo Internazionale di Barcellona Open; è secondo, sempre nel 2015, al Norman Key Platinum Pairs (è considerato il torneo a coppie più difficile al mondo), a New Orleans. Risultati straordinari che, nel caso del Bridge, si possono ottenere solo grazie a grandi doti naturali, allo studio, alla capacità di concentrazione.
A che età ha cominciato a giocare a Bridge?
Quando avevo circa 10 anni, durante il primo anno di scuola media, ho frequentato un corso pomeridiano di due ore settimanali, tenuto da una insegnante. La cosa bella e affascinante era che, alla fine di ogni anno, trascorrevamo una settimana di vacanza durante la quale, tra i partecipanti, si svolgeva un campionato. Quindi ho iniziato un po’ per caso. Durante il primo anno il campionato è andato bene, anche se non ho fatto niente di particolare; poi, dal secondo anno, ho iniziato a vincere i campionati italiani studenteschi e quindi mi sono sempre più interessato a questo gioco, anche se, all’inizio, era più una passione, un divertimento. Poi, dopo gli anni della scuola, ho continuato a giocare, così come altri ragazzi, iscrivendomi al Circolo di Bridge qui a Palermo. Ho cominciato a giocare sempre di più, fino a quando non mi sono iscritto ai campionati Juniores che si tenevano a Riccione e a San Giusto Canavese. In quella occasione sono stato notato dal selezionatore per la categoria Cadetti Under 20 e così, quando ho compiuto 15 anni, sono entrato nella Nazionale Juniores Cadetti giovanile e ho iniziato a giocare i primi campionati europei e mondiali.
Come è articolata la Nazionale giovanile di Bridge?
La Nazionale giovanile si divide in Cadetti Under 20 e Juniores Under 25. Da quando avevo 15 anni fino ai 25, ho sempre giocato nella Nazionale, partecipando ai vari campionati europei e mondiali in Europa e nel resto del mondo.
Che tipo di progetto era quello del quale faceva parte il corso di Bridge che lei ha seguito durante la scuola media?
Si trattava di un progetto, che tuttora esiste, indetto dalla Federazione Italiana Gioco Bridge denominato “Bridge a scuola”. Interessa le Scuole Medie nelle quali è presente un professore che sappia giocare o un esterno che proponga di tenere un corso, nelle ore pomeridiane, di preparazione per la partecipazione al Campionato scolastico.
Perché questo progetto? Si ritiene che il Bridge abbia finalità educative?
Sì, perché è un gioco di logica che aiuta il ragazzo, anche molto giovane, ad effettuare delle scelte alla base delle quali vi sono dei ragionamenti. Penso che per i giovani sia un gioco che può essere di grande aiuto nella crescita. Bill Gates, lui stesso appassionato giocatore di Bridge, afferma che chi sa giocare a Bridge, anche da giovane, nella vita sicuramente avrà successo e riuscirà, perché è un gioco che apre la mente e che aiuta ad effettuare le scelte. Per tali caratteristiche il progetto di portarlo nelle scuole ha avuto successo.
Bill Gates è sicuramente un ottimo testimonial. Segue i campionati?
Sì, anche se pochi. Mi è capitato di vederlo. La cosa bella del Bridge è che in questi tornei è possibile incontrare, ed essere seduti allo stesso tavolo, con qualsiasi giocatore, senza distinzioni, quindi anche con Bill Gates. Questa è una cosa bella perché, mentre nel tennis o nel calcio, non capita mai di giocare con campioni come Federer o come Messi, nel Bridge questo può accadere. Nei campionati del mondo, nei tornei, ci sono persone che giocano da uno o due anni appena.
Non esiste una selezione per accedere ai campionati?
Per i campionati del mondo è ovvio che ci sono delle qualifiche, ma nel Campionato italiano, ad esempio, è possibile che l’attuale campione del mondo si trovi a giocare contro un promettente ragazzo di ventidue anni.
Questo è molto stimolante…
È anche affascinante, per chi inizia, avere la possibilità di giocare contro dei campioni.
Quali doti occorrono per giocare in maniera professionale e per diventare un campione?
È un gioco di logica. Nell’immaginario comune può sembrare che chi è bravo nel Bridge debba essere una persona super intelligente o un luminare della matematica. In realtà non è così, anche se occorrono comunque una serie di qualità. In verità, nelle partite di Bridge, si fanno calcoli in cui un professore di matematica, ad esempio, dovrebbe eccellere, ma sicuramente non è necessaria una intelligenza straordinaria. È necessario essere portato per questo gioco; è fondamentale riuscire ad avere una forte concentrazione perché le gare sono molto lunghe e bisogna sapere stare al tavolo per sette ore al giorno, per dieci giorni, ad esempio, durante un campionato mondiale o durante i campionati europei. Quindi occorre avere una certa tenuta mentale e fisica: una resistenza soprattutto a livello psichico perché stare per sette, otto ore a riflettere, a pensare, cercando di mantenere al massimo il livello di attenzione e di concentrazione significa anche saperle dosare.
Queste qualità si possono sviluppare con lo studio?
Sì, si acquisiscono giocando, allenandosi e impegnandosi, ma non tutti ci riescono.
Come si può dosare la concentrazione nel tempo?
Questo si acquisisce anche attraverso l’esperienza: sapere il momento in cui è necessario pensare, sapere che si giocherà per molto tempo e che sarà stressante. Il Bridge non è un gioco individuale ma di coppia: fattore fondamentale da tenere in considerazione, perché per quanto un giocatore possa essere bravo, è sempre tutto basato sul feeling che si riesce a creare con il compagno durante il gioco. In realtà un giocatore difficilmente viene valutato singolarmente. Viene sempre valutata la coppia. Un’altra qualità necessaria ad un bravo giocatore di Bridge è quella di riuscire a creare una coppia con il proprio compagno, riuscire a sentirsi sulla stessa lunghezza d’onda: trovare un compagno che si accordi bene con il proprio carattere.
La coppia di giocatori è fissa o può essere cambiata?
In genere le coppie durano in linea di massima dieci o venti anni e, se si ottengono buoni risultati, si continua a giocare insieme. Durante un campionato la squadra è composta solitamente da sei giocatori, quindi da tre coppie che giocano. Ogni coppia ha un sistema che viene studiato precedentemente: si prendono accordi che variano di coppia in coppia. La bravura sta nel riuscire a prendere il maggior numero di accordi che siano anche precisi. Essendo un gioco di coppia l’affiatamento è perciò fondamentale.
Le coppie sono formate da giocatori che hanno più o mano la stessa età oppure non necessariamente?
No, non è necessario, basta trovarsi bene con il proprio compagno. Effettivamente, però, è sempre meglio formare la coppia con un coetaneo, soprattutto per un ragazzo giovane, in modo da poter costruire un futuro: si inizia a formare la coppia per questo, cioè perché i giocatori, in futuro, possano continuare a giocare insieme e costruire qualcosa che sia vendibile.
È interessante assistere ai tornei anche per imparare?
Assolutamente sì. Per me è bellissimo. Lo era soprattutto quando non partecipavo ancora ai tornei più importanti. In questi anni, fortunatamente, vengono trasmessi on line, così che si possono vedere tutte le carte giocate. Quando ancora non giocavo, li guardavo e cercavo di osservare i giocatori più forti e di pensare a cosa avrei fatto io con le loro carte. Questo è un metodo che ho usato per migliorarmi e per imparare. Per me è bellissimo guardare i tornei, perché è un modo per imparare, per evolvermi e per capire cose che magari non conoscevo, anche perché, nel gioco, non c’è mai nulla che si ripete, che è già successo; c’è sempre qualcosa di nuovo: ogni mano, ogni singola carta è diversa da quella che è stata giocata precedentemente, quindi c’è sempre da imparare.
Il Bridge ha regole internazionali ed è giocato nello stesso modo in tutti i Paesi del mondo?
Il gioco è uguale dappertutto, non c’è nessuna differenza, in nessun Paese, ma lo stile in cui si gioca, in cui cii si approccia al gioco, è diverso da Paese a Paese. Questa differenza si chiama sistema dichiarativo o licitativo. La licita è una fase del gioco della carta; questa prima fase, la licita, varia di Paese in Paese: c’è lo stile polacco, lo stile italiano, lo stile americano…
La differenza di stile comporta delle difficoltà nel gioco o non ha nessuna incidenza?
Un po’ incide più che altro perché ci si può ritrovare in situazioni mai viste prima e questo, in un primo momento, fino a quando non ci si abitua, può creare un problema.
Com’è lo stile italiano?
Lo stile italiano è ritenuto lo stile per eccellenza, quello che gli altri cercano di imitare di più. L’Italia, nel Bridge, è la nazione più forte: attualmente la Nazionale Open è campione del mondo e gli ultimi otto anni ha vinto sette volte di seguito i campionati europei. Negli anni Cinquanta, Sessanta ci sono stati giocatori che hanno fatto parte del cosiddetto Blue Team, che hanno vinto per anni e anni i campionati italiani ed europei. Quindi nella squadra italiana di oggi, se ci sono dei bravi giocatori, giovani come me e come qualcun altro, è perché la scuola italiana è molto buona e sicuramente abbiamo imparato bene.
Su che basi si riconosce, in un giovane, il talento?
Inizialmente, in un ragazzo giovane, conta molto il fatto che dimostri intuito, che faccia delle giocate dalle quali si capisce che, alla base, c’è sempre un piano per quello che sta facendo e non fa le cose casualmente. Poi è ovvio che si deve imparare sul campo. Gli addetti ai lavori capiscono subito se un ragazzo ha il Bridge in corpo, se può diventare bravo o meno.
Quando ha pensato di fare del Bridge una professione?
Negli anni in cui ero Juniores, cioè fino al 2013, 2014, non ci avevo pensato molto, perché l’ho sempre considerato solo come un gioco che mi piaceva moltissimo: farne una professione sarebbe stato difficile, perché si deve avere un po’ di fortuna, avere le occasioni e non è facile. Quindi non ho mai puntatsu questa professione, ma l’ho sempre vista come una possibilità. Ci sono arrivato attraverso tutta una serie di eventi. La svolta è stata vincere il mondiale Juniores quando avevo 25 anni: era l’ultimo campionato Juniores che giocavo e, con il mio compagno ho avuto la fortuna di vincerlo. Da quel momento siamo entrati nella squadra italiana della Lavazza di cui la titolare, Maria Teresa Lavazza, è una grande appassionata di Bridge: da tanti anni sponsorizza la squadra nella quale sono presenti tre degli attuali campioni del mondo Open. È la squadra che ha vinto tutto. 
Come ha vissuto questo traguardo?
Questo mi ha dato più sicurezza. Da allora ho cominciato a vincere numerosi tornei in squadra con loro, ma anche qualcosa a coppie, a Barcellona, a New Orleanas. Quindi, adesso, vorrei fare questo nella vita: il giocatore professionista e, in futuro, vorrei rappresentare la mia nazionale Open.
Proseguirà anche gli studi universitari?
Terminerò sicuramente l’Università perché il Bridge è bello però non è una certezza, al momento. È una bella possibilità: è il mio piano A. Voglio avere comunque un piano B, nel caso in cui non dovesse andare bene il primo, anche perché, ora come ora, alla fine, ho avuto sì quei successi, però, effettivamente, nel mondo ci sono tanti ragazzi giovani e bravi che hanno vinto. Quindi non è detto che tutto continui così per cui non voglio lasciarmi solo il Bridge.
Quali sono i suoi interessi oltre al Bridge e all’Università?
Fondamentalmente i miei interessi sono nel Bridge. Mi sono affacciato adesso al mondo professionistico e ho anche la fortuna di giocare in questa squadra in cui si trovano tre campioni del mondo. Il mio obiettivo è quindi quello di cercare di imparare il massimo da loro che hanno vinto tutto e cercare di diventare un giocatore forte, in modo da poter fare questo nella vita perché è quello che più mi piace. È come se in questo momento avessi realizzato un sogno che devo far continuare.
Come si svolge la giornata di un giocatore professionista?
Quando ci sono i campionati, che sono molto frequenti, si trascorre una settimana in trasferta, lontano da tutto e da tutti.
In isolamento?
Non direi: c’è sempre molta gente che partecipa ai campionati e, oltre a questi, ci sono dei tornei. Quindi è sempre divertente: quando ci troviamo in trasferta, faccio la cosa che più mi piace, quindi gioco durante il giorno. Poi si va a cena; stiamo in alberghi bellissimi; la sera siamo quasi sempre liberi e possiamo andare a divertirci. Quando non ci sono, invece, la cosa bella, che mi piace, è che si ha abbastanza tempo libero e si può gestire il tempo per gli allenamenti. Lo studio e l’allenamento si fa sempre con il compagno. La preparazione alle gare avviene studiando il sistema con il compagno e allenandosi.
L’affiatamento con il compagno che si ha nel gioco esiste anche nella vita?
Sì, anche se non è così necessario…. Si diventa amici perché comunque si trascorre molto tempo insieme. Tuttavia, rimanere un po’ distaccati, non creare un rapporto troppo confidenziale con il proprio compagno di gioco, è meglio, perché questo permette di essere meno tesi. Il Bridge è un gioco che provoca delle tensioni e il fatto di non essere troppo amici permette di rimanere più sereni e più obiettivi. Mantenere un certo distacco, un rapporto più professionale, dà maggiore concentrazione.
Nella sua carriera, fino ad oggi, quale è stata l’esperienza più significativa, più entusiasmante?
L’esperienza più entusiasmante è stata il campionato del mondo Juniores a coppie, ad Atlanta, perché è stata la prima vittoria importante. Da lì ce ne sono state tante altre. Quella, però, è stata la prima, quella che mi ha fatto credere che il Bridge era qualcosa in cui volevo investire. Mi ha dato molta fiducia nel futuro anche perché, dopo quel risultato, sono stato contattato dalla squadra dove sono adesso. Comunque tutte le esperienze che ho vissuto, come quella della Lavazza, in questi ultimi due anni, sono state bellissime e sono le esperienze che ricorderò per sempre, perché sono le prime da professionista, alla corte di giocatori fortissimi. Direi, più che altro, che sono questi due anni ad essere entusiasmanti, per il continuo susseguirsi di buoni risultati e di momenti belli.
Che cosa fa nel tempo libero?
Sto con la mia fidanzata, faccio un po’ di palestra con i miei amici. Non ho grandi hobby a parte il bridge.
I suoi amici seguono la sua carriera nel Bridge?
Sì, anche perché questa passione mi ha accompagnato da quando, i miei amici storici ed io, ci siamo conosciuti. Così come i miei genitori, mi chiedono sempre come procede la mia attività e, anche se non conoscono il gioco, si appassionano.
Il Bridge, come altri giochi, può generare forme di dipendenza?
Assolutamente no. A parte che non si gioca con denaro, è paragonabile agli scacchi perché appartiene alla categoria dei giochi della mente. Il Bridge fa parte del Coni e quindi è uno sport vero e proprio. Ci sono le Olimpiadi. È un gioco-sport che tiene attiva la testa, il cervello quindi sicuramente è buono per gli anziani e per i giovani, indistintamente. Mantiene in attività i giovani e li fa crescere bene. Inoltre, dedicarsi eccessivamente al Bridge porterebbe comunque a risultati positivi e non negativi: è solo un’attività cerebrale. Comunemente il Bridge è visto come un gioco molto difficile per questo le persone non vi si avvicinano, mentre in realtà è facile imparare, ci si appassiona tantissimo e si rivela utile.
Quale consiglio dà a chi volesse avvicinarsi al Bridge?
Il consiglio è sicuramente quello di provarlo, di iniziare. Per quanto riguarda la mia esperienza negli anni in cui ho giocato nella nazionale Juniores - e se si inizia da giovani è molto facile imparare - ho avuto la possibilità di fare tanti viaggi, completamente spesato, durante i quali mi sono divertito molto, ho conosciuto tanti ragazzi della mia età provenienti da altri Paesi, ho fatto esperienze bellissime e poi, comunque, sto provando a trovare un modo diverso di lavorare in futuro, oggi che è difficile trovare lavoro, anche se non sarà facile e occorrerà molta fortuna. Quindi ti fai delle belle esperienze, ti puoi divertire e il Bridge ti può aiutare in tutto quello che farai, qualsiasi cosa tu voglia diventare, ti aiuterà a ragionare in maniera migliore, più logica.


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