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Syria.

Syria. "La crisi asimmetrica"

Al Festival “Internazionale a Ferrara” si discute il futuro della Siria. Tra i relatori del convegno moderato da Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Jonathan Whittall, il responsabile della ricerca sull'azione umanitaria per Medici senza frontiere, Alex Thompson, chief correspondent Channel 4 e Lorenzo Trombetta, corrispondente per l’ANSA da Beirut

Autore: Anonym/mercoledì 9 ottobre 2013/Categorie: Attualità, Italia

Negli ultimi due anni il mondo intero diventa l’osservatore di una delle peggiori crisi dell’umanità. Quali sono le cause che l’hanno provocato? Chi sono i suoi i protagonisti? Quale il futuro del paese? E quali difficoltà riscontano le organizzazioni umanitarie che cercano di attraversare il confine?

La comunità internazionale cercando la chiave di lettura per la crisi siriana si trova davanti ai due problemi fondamentali, spiega Vittorio Emanuele Parsi. La prima è individuare in un contesto così frammentario, chi sono quelli “buoni” e devono essere aiutati e la seconda è cercare di evitare gli errori del passato, provando a immaginare, innanzi tutto, le conseguenze di un possibile intervento.

Osservando gli attori presenti sulla scena del conflitto, ci si rende conto quanto sia complessa la situazione. Il ruolo crescente dell’Arabia Saudita e Qatar contrariamente a quello della Turchia che si è vista estromessa dal palcoscenico sono esempi che indicano il gioco di competizione tra i vari protagonisti, specificamente regionali, sul territorio.

La complessità si avvisa anche dal fatto che “La Siria può essere inquadrata in contesti differenti, non solo come quello della lotta tra il regime e i ribelli, ma anche nel conflitto arabo israeliano, conflitto tra sunniti e sciiti, e perfino tra gli Stati Uniti e la Russia, una circostanza che risale ai tempi dell’Unione Sovietica”, ha affermato Vittorio Parsi.

Un'altra caratteristica di questa guerra è la sua estrema crudeltà. “La Siria rappresenta una crisi umanitaria inimmaginabile”, dice Jonathan Whittall, che lavora con Medici senza frontiere (Msf) dal 2008. “Il problema più grosso che abbiamo riscontrato è l’impedimento di accesso in alcuni territori del Paese e spesso anche la necessità di una negoziazione per poterlo fare”. Le organizzazioni umanitarie non vengono percepite come neutre ma, al contrario, vengono considerati come nemici per aver aiutato un gruppo di combattenti e non altro.

I problemi di sicurezza sono evidenti anche per i giornalisti che lavorano sul territorio. “A volte può accadere”, racconta Alex Thompson, “che viaggiando in auto ci si trovi circondati dai bambini dai quindici ai diciannove anni, armati di kalashnikov, che sono in grado di riconoscerti perché seguono la TV occidentale, canale youtube e altri. Il fatto che le persone possono seguire le notizie può essere considerata una cosa positiva, ma rimane comunque il grande rischio di essere uccisi senza una ragione, soltanto per colpa della propaganda”.

Le difficoltà dei mass media di seguire il conflitto dall’interno del Paese e la mancanza di tempo per approfondire le notizie impediscono di vedere in modo chiaro che cosa sta accadendo realmente sul territorio. Da qui nascono le domande: chi sono i veri colpevoli, chi sono “buoni” e chi deve essere punito. Le risposte a volte si possono trovare guardando indietro attraverso la storia.

La questione delle armi chimiche e i responsabili dell’azione di attacco, sembra non lasciare il dubbio a Lorenzo Trombetta, il quale conosce la realtà siriana dopo aver vissuto nel Paese per diversi anni e aver studiato e indagato sulla storia della famiglia di Assad.
“La struttura del potere siriana ha, cosiddetto, il doppio registro: da una parte ci sono le istituzioni formali che servono a legittimare il potere di fronte all’opinione pubblica ma ancora di più di fronte alle cancellerie straniere e dall’altra parte ci sono i servizi di sicurezza che effettivamente decidono tutto, dall’approvazione delle licenze e permessi per aprire un’attività fino a consentire alle organizzazioni come MSF di entrare o meno sul territorio del Paese. Spesso gli analisti e giornalisti si fermano alla facciata senza approfondire il vero significato di che cos’è il governo o l’opposizione in Siria, parlando di essi in modo in cui li intendiamo noi nelle democrazie occidentali dove esistono il premier, i ministri di sicurezza o di sanità. Bisognerebbe, innanzi tutto, specificare che in Siria non esiste un governo ma un regime al quale appartiene l’intero potere ed ha un nome preciso - Bashar Assad.

In questo contesto diventa più chiaro anche il discorso di minoranze. Anche se due anni di guerra hanno toccato e scardinato il fragile equilibrio tra sunniti e sciiti, non sarebbe del tutto corretto considerare questo conflitto come una guerra religiosa. Il potere del regime, spiega Lorenzo, è basato esclusivamente su legami di sangue. Non solo sunniti ma anche molti villaggi alawiti che non fanno parte della famiglia di Assad non hanno avuto i benefici economici e sono stati esclusi dal potere. Le proteste all’inizio della guerra erano sostanzialmente contro il regime che ha impoverito la popolazione.

Varie trasformazioni sulla scena del conflitto durante le ultime settimane hanno lasciato gli osservatori incerti sul futuro della guerra. Se poco tempo fa molti credevano che Assad aveva giorni contati, oggi è diventato un interlocutore, un garante dell’equilibrio. L’utilizzo delle arme chimiche appare come una mossa strategica da un calcolatore a sangue fredda. Come se l’avessi giocato la carta vincente rispolverando il vecchio rapporto tra gli USA e l’URSS.

Alex Thomson, per capire meglio la situazione in Siria, suggerisce l’espressione del protagonista di una famosa serie televisiva inglese, un detective che cerca di risolvere il caso: “Cercate i soldi”. “Se facessimo la stessa domanda, da dove vengono i soldi in Siria, potremo avere un’idea più chiara di che cosa sta succedendo realmente”, dice Thomson, specificando alla fine che “il denaro viene dal Qatar e dall’Arabia Saudita”.

“Gli Emirati Arabi Uniti hanno aperto una linea di credito con la banca centrale siriana con quale da una parte finanziano i ribelli dall’altra, sostengono il regime”, dice Lorenzo Trombetta. “Invece, l’Arabia Saudita e Qatar da una parte sostengono l’esercito libero con accordo di Washington e dall’altra finanziano lo stato islamico dell’Iraq”.

Le decisioni devono essere prese sullo sfondo di questo contesto regionale. Ci sono in corso le competizioni per accaparrarsi delle risorse energetiche. Una delle regioni, vista con grande interesse, è Giazira, stretta tra due fiumi dove ci sono i giacimenti di petrolio, il gas ma anche l’acqua e dighe. E in questo contesto regionale, che diventa facile a pensare che le primavere arabe o la nascita di nuove democrazie fanno preoccupare le maggiori potenze arabe.
Viene da chiedersi se dietro questo complesso intreccio di interessi non ci sia quello che la guerra continui?

E un caso che dovrebbe richiamare la coscienza di ognuno e ciò vuol dire cercare di seguire il principio del “bene” e del “male”, lasciando da parte le preferenze e le posizioni politiche di destra o sinistra.


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