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LUCA RONCONI E IL MONDO SPREGIUDICATO DI “CELESTINA”

LUCA RONCONI E IL MONDO SPREGIUDICATO DI “CELESTINA”

Il regista rilegge, al Teatro Strehler, con lo spettacolo-evento di inizio 2014 il crudo affresco umano di fine ‘400 dello spagnolo Fernando De Rojas. Protoagnisti, nei panni della ruffiana Celestina, Maria Paiato.

Autore: Anonym/venerdì 14 marzo 2014/Categorie: Attualità, Teatro, Italia

Un panorama umano impietoso, spregiudicato, tra realistica crudezza e rifiuto – conseguente – di ogni abbellimento ideale o moralistico. E’ uno sguardo cinico e trasgressivo quello di Fernando de Rojas, autore del celebre “La Celestina” (1499) – ma il titolo autentico era “La tragicommedia di Callisto e Melibea” – che ora Luca Ronconi ha portato in teatro al Piccolo-Strehler di Milano nella concisa (fino a un certo punto…) riduzione scenica realizzata dal canadese Michel Garneau. Un mondo, quello di de Rojas, in cui contano solo i soldi e il sesso, senza interesse per null’altro, e senza la minima paura di oltrepassare qualsiasi limite e barriera di tipo etico. 

Ne è esempio la protagonista (l’attrice è la bravissima Maria Paiato), ex prostituta che, ormai vecchia e brutta, si guadagna da vivere facendo da mezzana – con un’abilità al limite dell’incredibile nel vincere anche la riottosità delle fanciulle più pudiche – procurando su richiesta aborti e… restauri empirici di verginità perdute e non disegnando incursioni nel campo della magia e della stregoneria. E’ lei, Celestina, che, oltre a gestire con accortezza un paio di giovani prostitute, Elicia (Licia Lanera) e Areusa (Lucia Lavia) regolando le loro “attività” amorose, si incarica di un’impresa ai limiti dell’impossibile, quella di vincere la resistenza opposta dalla virtuosissima, sdegnosa Melibea (Lorenza Guidone, già con Ronconi nei “Sei personaggi” pirandelliani), alle brame più erotiche che amorose di Calisto (Paolo Pierobon), tormentato anche corporalmente – diciamo così – dalla sua passione sensuale. Tra gli altri personaggi di questo spoglio, corrosivo affresco rinascimentale i due servi di Callisto, in competizione fra loro, Sempronio (Fausto Russo Alesi) e Parmeno (Fabrizio Falco), l’unico dei personaggi popolareschi a mostrare scrupoli e resistenze di tipo morale, almeno all’inizio della storia. In uno spettacolo di fattura impeccabile, magistrale – ricco di effetti scenici elaborati quanto (ovviamente) costosi – con porte o camere che affiorano o sprofondano da un pavimento di alte porte chiuse, Ronconi mette in luce soprattutto la spiacevolezza di un mondo che assomiglia a quello di oggi molto di più di quel che sembra, in cui il denaro muove tutto e ottiene tutto, in cui non si accende una luce che rischiari un orizzonte alla fine cupo in cui c’è posto solo per la materialità e l’istinto, l’ossessione per il guadagno e il possesso. 

Manca, o quasi, dalla sua rilettura l’altro possibile angolo di visuale di questa spiazzante e picaresca parabola: la chiave, cioè di un vitalismo, di un “carpe diem” che si oppone a una visione della vita bigotta e idealizzata, figlia di una visione religiosa che nega valore al corpo, alla sessualità e ai bisogni primari, più concreti dell’uomo: compreso quello di sopravvivere, e di farlo il meglio possibile, a qualsiasi costo. Un messaggio antireligioso e antimoralistico in parte – potenzialmente – in positivo, che qui resta assolutamente sullo sfondo. Tutti inattaccabili gli attori, anche se da uno spettacolo di Ronconi non c’è da aspettarsi un apporto, una linea interpretativa personale di ognuno. 

I nomi, e gli interpreti, cambiano, ma i cliché interpretativi ronconiani restano – più o meno – gli stessi. Tanto che in qualche momento, in questo o quell’attore di “Celestina” (sottotitolo “laggiù vicino alle concerie in riva al fiume”, l’indicazione – ossessivamente ripetuta – di dove abita Celestina), in questo o quell’attore – si diceva – sembra di cogliere echi e memorie vocali di celebri interpreti ronconiani del passato. 

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