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L’antica e complessa storia del grembiule secondo Stefania Alba

L’antica e complessa storia del grembiule secondo Stefania Alba

All’Orto botanico di Firenze un inedito percorso artistico

Autore: Redazione Aurora/mercoledì 21 giugno 2017/Categorie: Attualità, Arte, Architettura e Design, Italia, Toscana

Evento collaterale alla mostra “Rose e Foglie, su una linea di silenzio” di Sergio Gagliolo, ideata e curata da Beth Vermeer all’Orto botanico di Firenze fino al 17 settembre, è quello dedicato a Stefania Alba che presenta una serie di grembiuli “realizzati – spiega Vermeer - secondo i canoni di una visione green della moda, dalle tematiche ispirate alla natura fino all’utilizzo di tessuti naturali o ottenuti da coltivazioni biodinamiche, con l’obiettivo di dare un contributo intelligente alla salvaguardia del nostro pianeta”.
I grembiuli nascono da una “sinergia creativa” con Andrea Mancini che si è ispirato alla vegetazione dell’Orto Botanico, in particolare agli alberi esotici, alle numerose piante rare raccolte nel corso dei secoli in tutto il mondo. Il grembiule viene nobilitato attraverso un processo di trasformazione artistica del tessuto ricamato, originario di epoche passate, che, grazie l’utilizzo di tecniche di lavorazione avanzate, rinasce come oggetto di design: conforme ai canoni ricercati della produzione artigianale toscana e in edizione limitata.
“Oltre alla morfologia e ai materiali utilizzati – spiega Beth Vermeer - il grembiule cambia così anche i registri della narrazione. Il mondo dipinto di Andrea Mancini è una curiosa accumulazione di oggetti in serie. Questi elementi stampati sul grembiule dialogano con chi li indossa tramite l’invito a cedere alla sinestesia: l’immagine intriga l’occhio, il tessuto seduce il tatto, il messaggio raggiunge la mente, talvolta anche il cuore. Indossare questo genere di grembiule artistico vuol dire aprirsi a priori ad una passeggiata in dimensioni incrociate tra la storia e l’etnologia, l’arte, il design e la cucina.
Quando l’arte visiva entra nell’alta cucina, si sofferma su un elemento che, nei secoli, non è mai stato considerato di importanza tale da diventare un oggetto di culto. Al contrario, Stefania Alba, che fa parte del gruppo di artiste ‘Donne Inquiete’, che dal 2012, con tenacia, ha conquistato una serie di luoghi espositivi a Trieste, ha dato forma e design, senso ironico e qualità di alta sartoria ad un relitto di altri tempi: il grembiule. Insieme ad Andrea Mancini, artista e illustratore fiorentino, con cui Stefania Alba lavora in tandem da molti anni e con alcuni pittori come Cinzia Fiaschi, ha progettato una linea innovativa di grembiuli in materiali come la canapa, la juta, il lino, che fungono da tela per le stampe dei dipinti, disegni ed acquarelli”.


Il grembiule, come precisa Vermeer, “è l’abito più antico del mondo. È variegata e concettualmente tormentata la sua evoluzione che inizia da quello preistorico, realizzato con le foglie, tipico dei popoli africani, a quello di cuoio caratteristico dei mestieri medioevali, dal grembiule massonico fino al grembiule americano Hoover degli Anni Sessanta, fino al grembiule stilizzato per uomo apparso di recente sulle passerelle della moda contemporanea. Resta il fatto amaro che i grembiuli celano delle riflessioni scomode sul ruolo della donna nelle varie epoche. Tramandano il fatto che, fino a non tanto tempo fa, le donne racchiudevano, proprio tra le pieghe del grembiule, tutta la loro vita, le loro sofferenze e le loro rinunce. Tenevano cosi la propria femminilità al riparo da sguardi indiscreti. In realtà il grembiule fungeva da codice linguistico: era un modo di comunicare laddove le parole venivano censurate, gli atteggiamenti limitati, l’espressione del sé impedita. Il grembiule assomigliava quindi ad uno scudo in grado di proteggere e conferire forza alle donne.

Stefania Alba parte dalla rivisitazione del modello tradizionale del grembiule, per indagare la sua attuale valenza socio-culturale. Non le sfugge il paradigma del grembiule storico, e, attratta dalle contaminazioni, tenta strade alternative. Dalla sperimentazione emerge la sorprendente continuità di uno strumento di meta-comunicazione che offre letture trasversali dell’oggetto e una nuova conoscenza oltre i confini della sua quotidiana utilità”.



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