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Chiara Cola, Digital Art-à-porter

Chiara Cola, Digital Art-à-porter

Autore: Anonym/mercoledì 3 aprile 2013/Categorie: Attualità, Arte, Moda, Italia

Un’artista digitale che applica la propria arte alla moda. Dalla sua prima esposizione alla galleria ICIPICI di Roma sono passati cinque anni e da allora Chiara Cola elabora un linguaggio espressivo in costante evoluzione. Autodidatta, dopo gli studi al liceo classico ha conseguito una laurea quinquennale in Comunicazione all’Università La Sapienza, dove è stata allieva dell’antropologo Massimo Canevacci.
“Con il mondo digitale, è stato amore a prima vista e, proprio come i veri amori, non passa; anzi si è rafforzato nel tempo”, dice del suo lavoro. La collaborazione con il Centro Antinoo Marguerite Yourcenar e le esposizioni presso l’Archivio di Stato all’EUR e Villa Adriana a Tivoli; a Londra presso Brick Lane gallery; all’Alphaville festival e Harvey Nichols, sono alcune delle conferme che hanno ripagato l’impegno e la passione di quest’artista esordiente.
Dal 2010 si è avvicinata anche all’America, dove ha esposto presso Art Basel Miami e proiettato elaborazioni digitali a Big Screen Plaza a New York. Per Borderline Projects ha sviluppato un progetto artistico legato alla Lotteria Messicana.
Nell’ottobre 2011 il suo lavoro è stato selezionato dalla piattaforma londinese Not Just a Label, di cui ancora fa parte. Ha recentemente collaborato con AltaRoma e Artisanal Intelligence e con A I Gallery che l’ha vista esporre in spazi dedicati all’artigianato. Per NU:S, evento dedicato alla moda e all’architettura parametrica, svoltosi in estate presso il Chiostro del Bramante a Roma ha disegnato i costumi per la performance di danza ispirati alla facoltà generativa del sistema nervoso centrale.
All'inizio del 2013 torna, con A.I. Remove, a Milano al White Trade Show e avvia una seconda collaborazione con Milena Canonero, per cui disegna i pattern  di alcuni costumi del prossimo film di Wes Anderson "The Grand Budapest Hotel".

Perché da artista digitale ha scelto la moda come campo di applicazione della propria arte?

Il passaggio alla stampa su tessuto è stato naturale e quasi inevitabile. Penso che le mie immagini, incontrando i tessuti trovino la loro declinazione più affascinante. Aver seguito un percorso fuori dal comune per arrivare alla moda è una conferma, una sorta di ricongiunzione con un’originaria fonte di ispirazione, perché il suo mondo mi appassiona sin da quando ero bambina. I miei accessori sono pezzi esclusivi, unici, non parte di una produzione industriale; ciò che di essi mi piace di più è l’idea che una persona possa indossare un quadro, un’immagine misteriosa e visivamente ricca.

Gli accessori che produce sono rivolti ad un target particolare? Se sì, c’è aderenza tra il target di riferimento e quello che si interessa al prodotto?

Più che l’idea precisa di un potenziale target, ho chiara l’intenzione di emozionare creando passaggi visivi carichi di dettagli in cui ognuno è libero di vedere cose diverse. Prima di arrivare all’accessorio penso alle immagini, che fanno sempre parte di serie tematiche, riconducibili ognuna a una storia spesso legata alle vite segrete di oggetti, persone e luoghi. Riferimenti fondamentali sono sia lo stile anni ’50 di grandi stilisti come Dior e Balenciaga, sia i look contemporanei ultracolorati di una cantante come M.I.A. .
La collaborazione con Simona Santelli, fotografa di scena per cinema e teatro, rientra nella volontà di fondere mondi diversi: volevo che le mie ultime creazioni fossero rappresentate con la drammaticità degli antichi soggetti religiosi rappresentando metamorfosi naturali. Noto poi che i miei modelli sono acquistati da un pubblico trasversale, che ne fa usi diversi: ho visto foulard indossati sia come top che come turbanti.

Partendo dagli accessori sta ampliando il ventaglio della sua produzione e ha da poco progettato una linea di abbigliamento. Il passaggio è stato obbligato o una naturale evoluzione?

Il passaggio è stato spontaneo: nella prima mini collezione di abiti e mantelle volevo sperimentare con la stampa, adattandola alle forme del corpo e lavorando con tessuti di dimensioni maggiori. Anche in questo caso la collezione è ispirata a una storia: il dio degli specchi (the God of mirrors) – in particolare “degli specchi rotti”. Mi affascina come questi rifrangono diversamente la luce rispetto alle superfici lisce; volevo inoltre superare la superstizione popolare legata a tale immagine: ogni abito illustra una metamorfosi di questa divinità immaginaria. È stato avvincente creare un unico disegno che coprisse i cinque metri di seta con cui è drappeggiata la gonna di un grande abito grigio.

Quali differenze riscontra, se ne riscontra, fra la moda e gli altri settori in cui lavora?

Più che differenze, ritrovo un dato comune fra la moda e le altre discipline creative: la passione degli artisti per il loro lavoro, la voglia di comunicare col mondo e di creare qualcosa di bello ed emozionante; c’è come un comune spirito che li unisce.

Chi sarà Chiara Cola?

Il futuro non esiste ancora e quindi ci è dato solo immaginarlo. Spero che continuerò a fare con amore quello mi rende felice, che il mio “segno” diventerà sempre più forte e che applicherò le mie creazioni a molti settori diversi, creando contaminazioni legate al campo scientifico, per esempio, o a quello teatrale, della danza e del cinema.
Ciò che più mi renderebbe orgogliosa è che nel futuro le mie creazioni possano avere anche un qualche tipo di utilità sociale, finanziare cause in cui credo; spero possano permettermi di aiutare le persone bisognose.
Infine, prevedo che manterrò la curiosità e la libertà immaginativa che ho, che mi ha sempre fatto grande compagnia e che nessuno mai potrà togliermi.

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