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Messico e Venezia, “Terre anfibie” unite in un’opera d’arte

Messico e Venezia, “Terre anfibie” unite in un’opera d’arte

Inaugurato alla Biennale il Padiglione dell’EUM che ospita la grande installazione di Tania Candiani e Luis Felipe Ortega: una performance musicale sull’acqua

Autore: Anonym/domenica 17 maggio 2015/Categorie: Attualità, Arte, Italia, Veneto, Messico

È all’Arsenale, Sala D’Armi, Tesa B, il Padiglione del Messico, alla 56° Esposizione internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. All’inaugurazione Maria Cristina Garcia Cepeda, direttore generale dell’’INBA, Istituto Nazionale di Belle Arti del Messico, ha definito la presenza del suo Paese alla Biennale “un punto di riferimento per lo sviluppo e la promozione artistica della creatività contemporanea nel nostro Paese. Una presenza che allo stesso tempo permetta la divulgazione delle espressioni artistiche messicane e una valutazione dell’impatto internazionale della nostra politica culturale”. Il padiglione ospita “Possessing Nature” un unico progetto di due artisti, Tania Candiani e Luis Felipe Ortega, a cura di Karla Jasso (Commissario Tommaso Redaelli, vicecommissario Magdalena Zavala Bonachea). Il progetto di Tania Candiani (che si è occupata degli effetti sonori) e di Ortega (che ha lavorato invece sul versante dell’immagine, della scultura e dello spazio), è stato selezionato per “la coerenza concettuale, la risoluzione tecnica e la forza estetica” a rappresentare il Messico alla Biennale. L’idea è quella di rendere tangibile un paragone ed un rapporto tra il Paese latinoamericano e Venezia, in quanto “territori anfibi”: se l’una è un modello perfetto e magico di città sull’acqua, “sposa del mare”, costruita sulla laguna, che ha inglobato nel suo insolito tessuto urbano, in Messico – soprattutto in epoca coloniale – sono state drenate acque, sono stati prosciugati laghi e fiumi per ricavare strisce di terra abitabili su cui costruire città. E se nei secoli la ricchezza idrica del Messico si è esaurita, ancora oggi il Paese continua a controllare con scrupolo la gestione delle sue acque. L’”opera unica a doppia a firma” di Candiani-Ortega traccia idealmente, seguendo calli e canali di Venezia, una linea, un percorso che collega le sedi del padiglione messicano nelle ultime Biennali ai luoghi significativi, storici o di potere della città, fino a giungere all’Arsenale: una grande installazione che sembra quasi inglobare, divorare lo spazio espositivo e i suoi visitatori. Un dispositivo idraulico aspira ed espelle, a ciclo continuo, l’acqua della laguna, generando un rumore fortissimo in un turbinio di immagini e di sonorità. Il fine è di ricordare simbolicamente che la vitalità dell’elemento naturale è molto più possente di qualsiasi tentativo umano di irreggimentarla e di controllarla. Inutilmente la tecnica e la tecnologia tentano di dominare la natura per possederla e modificarla, un po’ come accadde nei secoli in passati in Messico con il prosciugamento delle acque. Proprio in questo senso, nei giorni precedenti e seguenti l’inaugurazione del Padiglione è stata programmata anche la performance sonora “To invoke buried rivers”, ‘per invocare i fiumi sepolti’: la musicista Gabriela Ortiz ha scritto appositamente una partitura dalle suggestive evocazioni sonore che riporta, come testo, unicamente i nomi dei fiumi e dei rivi interrati nel Messico: una partitura che è stata intonata dal tenore Oscar Velazquez, a bordo di un’imbarcazione cha ha compiuto un viaggio sulle acque lagunari veneziane.

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