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Farsi bella o farsi brutta?

Farsi bella o farsi brutta?

Il viaggio e le (strane) declinazioni della bellezza nel mondo

Autore: Anonym/martedì 1 gennaio 2013/Categorie: Attualità, Moda, Viaggi

Fin dall’antichità una delle più forti ambizioni femminili è stata trovare un buon marito. Cosa non si faceva pur di attirare l’attenzione del sesso opposto! Il vertiginoso tacco a spillo del nostro secolo può sembrare una sciocchezza paragonato agli stratagemmi del passato.
A quali trucchi ricorrevano le donne per far impazzire gli uomini? A quali sacrifici erano disposte?
Primo su tutti, farsi bella; diventare perfetta, seguendo le ultime mode.
Le tendenze imposte dalla società, però, per lo più maschilista, non sempre sono state benevoli e innocenti. Spesso costringevano a vere e proprie deformazioni corporee. Talvolta occorrevano anni accompagnati da dolori e sofferenze prima di raggiungere l’effetto desiderato.

La parte più difficile è toccata alle ragazze cinesi.
Per molti secoli è stata in vigore l’usanza dei piedi fasciati.
La camminata instabile e oscillante rappresentava una delle più seducenti attrattive in Oriente.
Cos’altro, se non il piede minuscolo, fin da sempre considerato l’organo più erotico e seducente, avrebbe reso tale l’andamento della ragazza?
Più piccolo era il piede della giovane, più era apprezzata nella società e più possibilità avrebbe avuto di trovare come marito un uomo importante.
Era la madre stessa a provvedere alla fasciatura, fino dall’infanzia, dei piedi della figlia. Il segreto era di impedire la crescita del piede il più presto possibile. Soltanto così, quando la ragazza sarebbe diventata adulta, il piede non avrebbe superato dieci centimetri di lunghezza. Nei casi migliori, addirittura, cinque.
La pratica della fasciatura era lunga e dolorosa e alla fine creava un’immagine della donna delicata e docile, ma prima di tutto, incapace di fuggire dal marito.
La fasciatura venne proibita negli anni Venti del secolo scorso ma ancora ora si possono incontrare in Cina donne anziane che indossano le scarpette di Cenerentola.

Le signore della vicina Birmania, invece, preferivano evidenziare il collo, i polsi e le caviglie, ritenute le parti più sensuali del gentil sesso.
Le donne giraffa, come chiamano la popolazione femminile della tribù Padaung, dall’età di cinque anni indossano una spirale di ottone girata intorno al collo. Col passare del tempo vengono aggiunti anelli alla spirale, la quale di conseguenza aumenta di peso e, abbassando le spalle, crea l’effetto del collo allungato.
Anche i polsi e le caviglie sono decorati con questo accessorio.
La stessa pratica di allungare il collo è amata anche dalle donne Ndebele dell’etnia dell’Africa meridionale.

Anche l’Occidente, nonostante si sia mostrato molto suscettibile nei confronti delle crudeli mode asiatiche, ha cercato in passato di costringere e modellare il corpo femminile.
I “Piedi fasciati” sono spesso paragonati al “busto” portato in Europa per molti secoli.
Il corsetto composto di tessuto e rinforzato da stecche di balena era un indumento molto scollato e strettissimo in vita.
Nel desiderio di avere il cosiddetto “vitino di vespa”, ossia una circonferenza che non superava quaranta centimetri, le donne stringevano il torace a tal punto da provocare irreversibili deformità anatomiche.
Con i polmoni compressi e l’intestino spostato verso il basso del ventre, difficoltà digestive e svenimenti erano una regolarità.
Malaticcia e indebolita la donna non era in grado di lavorare. L’unico impegno che avrebbe potuto assumere, era occuparsi dei figli e il marito dal quale era enormemente dipendente.

Non sempre, però, l’obiettivo era quello di diventare più bella.
Storicamente famose per la loro bellezza le donne della tribù indiana degli Apatani per allontanare le insistenze maschili delle vicine tribù nishi decisero di farsi brutte. Si tatuavano il viso e s’infilavano nelle narici grossi tappi di legno. La pace tra i due popoli negli anni ’60 mise poi fine a questa brutta usanza.

La fama dei Mursi, popolazione seminomade dell’Etiopia che vive nella bassa valle del fiume Omo, risulta ancor oggi legata ai “piattelli labiali” che portano le loro donne.
Anche questa deformazione, partita dall’iniziativa dei maschi della tribù, ebbe lo scopo di imbruttire le donne facendo evitare loro il rapimento durante la tratta degli schiavi.
All’età di quindici anni alle ragazze viene praticata l’incisione del labbro inferiore. Nel foro viene inserito il disco d’argilla che con il passare del tempo si sostituisce con uno sempre più largo. Quando la donna raggiunge la maturità sessuale, il disco può misurare anche quindici centimetri di diametro.
Ancora oggi la popolazione africana possiede questa usanza diventata simbolo di bellezza e coraggio.

Oltre i confini con il Kenya, in una zona selvaggia di paludi e savane desertiche vivono gli Hamer. L’orgoglio delle loro donne sono le cicatrici che portano sulla schiena, anche queste sono simbolo di coraggio e femminilità. Alla cerimonia che segna l’iniziazione delle ragazze alla vita adulta, le fanciulle, mentre si esibiscono davanti ai maschi saltellando in una danza rituale, ricevono forti colpi di bastoni che schioccando aprono loro profonde ferite nella schiena. Con tanto di sorrisi e gioia e nessun accenno al dolore, le ragazze accettano il passaggio a una nuova e importante fase della loro vita.
I Karo sono imparentati con gli Hamer e vivono sulla riva orientale del fiume Omo. Gli uomini di questa tribù sono famosi perché usano dipingere il corpo con il gesso bianco imitando il piumaggio delle galline faraone. Le donne, invece, si trafiggono il mento con un chiodo o un bastoncino di legno.

Talvolta la modificazione corporale aveva come scopo non solo quello di creare effetto visivo o assicurare ai figli una notevole posizione sociale, ma anche di intervenire sul loro sviluppo intellettuale durante il periodo di crescita. Ad esempio, nel passato, le persone con le teste allungate erano ritenute più intelligenti e più vicine agli spiriti. La pratica di fasciare il cranio ai fini di allungare la sua forma era diffusa tra i molti popoli antichi: egiziani, nativi d’America, aborigeni australiani, africani. Circa dal secondo fino al settimo mese di nascita o talvolta oltre l’anno di età, la testa del bambino veniva fasciata e tramite diverse tecniche e strumenti, la sua forma naturale veniva modificata.
Uno dei personaggi storici più famosi, emblema di questa usanza è la bellissima regina egizia Nefertiti.

Bernard Rudovsky nel suo famoso saggio dell’inizio del secolo scorso “Il corpo incompiuto” spiega la necessità dell’uomo di intervenire artificialmente sul proprio aspetto considerato incompleto nei confronti del corpo animale.
Chi sa a quali altre bizzarrie ricorreremo nel futuro credendo di aver finalmente raggiunto la perfezione.

Immagini di Sebastiano Ravesi

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