Volterra. 26 Ottobre 1816: l’antichissimo Teatro di Volterra, di proprietà dell’Accademia dei Sepolti e situato in Piazza dei Priori fino dal XIV secolo, venne chiuso: era costruito in gran parte di legno e diventato sostanzialmente inagibile e pericolante a distanza di 70 anni dall’ultimo restauro avvenuto nel 1740.
Il vicario regio, Cerbone Cerboni, lo definì “pozzo profondo e deforme” Non era possibile neppure recuperarlo, la struttura, relazionerà sempre il vicario, è “troppo stretta e irregolare attesa l’angustia del locale”.
Andò così che “una società di cinque rispettabili Cittadini (...) pensò l’opportuno riparo col costruire un nuovo, più vasto e meglio ordinato teatro”.
Francesco Cinci per 5.600 lire acquistò il Palazzo dei marchesi Incontri (oggi Viti) e insieme a Bartolomeo Falchi-Picchinesi, Luigi Campani, Luigi Ducci e Mario Maffei, decisero di mettersi in società per costruire un nuovo Teatro per rispondere alle cresciute esigenze dei cittadini che da 8.075 nel 1815, salirono in 4 anni a 10.591 (allora è possibile crescere rapidamente!).
Il progetto e la direzione dei lavori fu dell'Ingegnere Luigi Campani, ispettore di acque e strade del compartimento senese.
Il Granduca di Toscana aveva accordato la sua reale protezione e, venti giorni dopo l’acquisto del Palazzo, decretò la costruzione del Teatro all’interno del cortile di via Sarti, che iniziò nel Novembre 1816.
In appena tre anni il Teatro fu costruito, furono presi accordi con l’eccellente pittore pontremolese Niccolò Contestabili che dipinse quello che è stato considerato il suo capolavoro ma ormai, sipario a parte, tutto è andato perduto per restauri maldestri.
Una bella descrizione ne fece Pietro Turrini: “...nel sipario del nostro Teatro il celebre pittore Niccolò Contestabili, il cui nome ed abilità somma troppo si conoscono in Italia per aggiungere parola, colorì Persio Flacco condotto dalla Musa in Parnaso, ove Apollo addita al satiro poeta il Tempio della Gloria, nella volta Venere in cocchio tirato dagli augelli a lei sacri e nelle pareti della platea, oltre a vari ornati e gruppi di amorini, cinque vignette o vedute con tanta gentilezza e precisione lavorate che meriterebbero di essere conservate in cristallo”.
Il secondo sipario e le scene, invece, furono affidate a Luigi Facchinelli, professore di prospettiva nella reale e imperiale Accademia delle Belle Arti di Firenze che, “...a nessuno secondo, sorprendeva gli Spettatori col magico effetto dei suoi dipinti” e il 14 Settembre 1819 (esattamente 200 anni da quando sto scrivendo queste righe), il teatro fu portato a termine e “battezzato”, in onore del poeta satirico volterrano, “Teatro Persio Flacco”.
”Un teatro si vago e magnifico da formare lo stupore di chiunque lo rimira, e da gareggiare, quasi senza temere di perdere il confronto, con quanti altri mai se ne contano in tutte le Province Toscane”.
In particolare suscitò molto interesse la nuova curva della platea disegnata da Campani.
“La nuova curva della platea, per la quale alla eleganza dell’ellisse univasi la sonorità della parabola, fece nascere in alcune Accademie il desiderio di averne la pianta, che richiesero con reiterate premure per applicarla o nella riforma dei loro teatri, o nella costruzione di nuovi” (Giornale del Commercio 21/02/1838).
Si rese necessario così “riunire un adeguato numero di cittadini i quali erigendo la loro società in Accademia acquistino la proprietà del Teatro medesimo e si incarichino della pulizia e del buon ordine di esso, eugualmente che di tutto ciò che concerne i regolamenti da osservarsi per la scelta, l’effetto, l'esecuzione e la decenza degli spettacoli da rappresentarsi”.
I palchi furono subito venduti. I soci fondatori, che erano 61, furono tenuti a pagare una Tassa d’ingresso pari a 210 lire, alle quali si doveva aggiungere una Tassa ordinaria annuale di 29 lire, che poteva non essere pagata se il socio pagava al Camerlengo, anziché 210, 490 lire per una volta sola.
I palchettisti riuniti in assemblea, divennero i proprietari del teatro e costituirono il 26 Settembre 1819 l’Accademia dei Riuniti (il regolamento venne poi approvato dal granduca Ferdinando III nel Maggio del 1820), il ricavato della vendita ai soci servì a dotare l’Accademia di un fondo per assicurarne il mantenimento.
L’Accademia dei Sepolti trasferì nel nuovo teatro i diritti che godeva sopra quello antico, e ottenne l’ospitalità perpetua in una delle sale della nuova Accademia, la Sala del Bosco.
Per festeggiare il bicentenario aspettiamo il 20 Agosto prossimo, infatti l’inaugurazione venne fatta in quella data del 1820, con una commedia della straordinaria compagnia Peltzet, che portò in scena la celebre “prima donna assoluta” Marietta Arpini, che sarebbe tornata ad esibirsi a Volterra anche negli anni successivi. Furono 24 repliche consecutive: un enorme successo.
Anche via Sarti era agghindata a festa e illuminata a giorno. Senza dubbio il successo del nuovo Teatro fu immediato e duraturo e svolse subito un ruolo centrale nella vita associata volterrana, che in 20 anni dalla riapertura non ha più avuto e che speriamo gli venga ben presto restituito.
Da allora l’attività del teatro si è arricchita del cinema nel 1923, e si è interrotta dal 1941 al 1945, dal 1955 al 1965 e dal 1985 al 1999.
Fino alle metà dell’Ottocento le stagioni erano due, una estiva Agosto- Settembre e l’altra nel periodo di Carnevale.
La prosa era prevalente, mentre la musica da camera o da concerto era quasi inesistente; fanno eccezione sporadici concerti di beneficenza di violinisti volterrani, infatti la città aveva una importante tradizione legata alla musica per violino.
La lirica aveva come sappiamo un buon peso ma venivano più spesso rappresentate farsette e operette giocose; tuttavia, il melodramma ebbe un ruolo fondamentale a Volterra.
Le opere di Rossini erano quelle di maggior successo ma anche Bellini e Doninzetti; Verdi fu rappresentato per la prima volta con “Attila”, nel 1855.
Nel 1912, dicono gli annali, venne anche Eleonora Duse, che rimase per un mese con tre lavori del suo repertorio.
Purtroppo di questo avvenimento abbiamo solo la citazione, nessun manifesto, nessun borderò.
Avremo sicuramente modo di riparlarne o di riscriverne.
Intanto prepariamo l’abito della festa...: per gli uomini: abito di panno a due petti alla francese, pantaloni di panno o di nankin, scarpe nere, cappello nero tondo, soprabito di panno, in inverno. Per le donne: abito di cambrik di colore per la mattina, di cambrik bianco o di drappo di qualunque colore, la sera; abito di panno in ogni caso d’inverno. Mentre i rappresentanti dell’Accademia dovranno vestire necessariamente un abito a due petti di panno o di drappo, pantaloni corti, calze di seta, scarpe nere con fibbia dorata, oppure in inverno pantaloni a coscia di panno e stivali lunghi di vitello nero senza rovesce.
...e qualche bottiglia di quello buono ! Libiam nei lieti calici, auguri!
Bibliografia
Carlo Pazzagli, Nobiltà civile e sangue blu, Olschki Editore, 1996
Giovanni Battistini, Volterra da Napoleone a porta Pia, Migliorini Editore, 1993
Giovanni Battistini, Folklore volterrano, Migliorini Editore, 1996
Elvira Garbero Zorzi, Luigi Zangheri, Censimento documentario e architettonico, in “I teatri storici della Toscana”, vol.3, Multigrafica Editrice, 1992
A.Carnieri, L’attività del teatro Persio Flacco dall’epoca della sua fondazione, in “Volterra”, 1947
U.Carnieri, Un secolo e mezzo di spettacoli al Teatro Persio Flacco, in “Volterra”, 1968
G.B.Giustarini, L’Ottocento musicale a Volterra, in “Rassegna volterrana”, 1934