Garantire
origine e qualità del riso italiano attraverso analisi in campo rapide, precise
e non distruttive è uno dei risultati ottenuti da una ricerca ENEA realizzata
nell’ambito dell’infrastruttura Metrofood-It, finanziata dal PNRR, che, si
legge in una nota, punta a offrire nuovi strumenti a beneficio di produttori e
consumatori.
“Per questo
studio abbiamo analizzato dieci campioni di riso della cultivar Carnaroli
provenienti da altrettante località italiane, Crescentino (Vercelli), Bigarello
(Mantova), Bovolone (Verona), Gaggiano (Milano), San Giuliano Milanese
(Milano), San Zenone Po (Pavia), Castello d’Agogna (Pavia), Granozzo Monticello
(Novara), Jolanda di Savoia (Ferrara) e Porto Viro (Rovigo) e coltivati con
metodologie differenti. I risultati che abbiamo ottenuto dimostrano che le
tecniche che abbiamo applicato in campo sono un efficace strumento per
l’identificazione di tipi di riso della stessa varietà e sono potenzialmente
utili per conoscere l’area e i metodi di coltivazione”, spiega Claudia Zoani,
ricercatrice della Divisione ENEA di Sistemi agroalimentari sostenibili e
coautrice dello studio insieme ai colleghi del Laboratorio ENEA di Diagnostica
e metrologia coordinati dalla ricercatrice Antonia Lai.
Grazie ad una
particolare tecnica di analisi, i ricercatori ENEA hanno ottenuto informazioni
molecolari dettagliate per ogni chicco su ognuno dei quali sono stati scelti
cinque punti di analisi, con tre ripetizioni per ciascun punto, al fine di
verificare l’accuratezza dei risultati spettrali. Complessivamente, per ogni
campione sono stati raccolti 45 spettri Raman, identificando una sorta di
‘carta d’identità’ attraverso la raccolta di ben 45 spettri di luce (i picchi
spettrali individuati, ad esempio alle lunghezze d'onda di 478 cm⁻¹, 865 cm⁻¹ e
934 cm⁻¹, sono associati, secondo la letteratura, ai principali componenti
molecolari del riso come amido, proteine e acidi grassi) per ogni campione,
equivalenti a ‘fotografie’ della loro composizione chimica. I dati così
acquisiti sono stati elaborati utilizzando metodi statistici avanzati che hanno
permesso di differenziare i campioni in due principali gruppi in relazione alla
metodologia di semina (interrata o in acqua). Questi gruppi, pur mostrando una
parziale sovrapposizione, hanno evidenziato chiaramente la capacità del modello
di rilevare differenze nei metodi di coltivazione attraverso sottili variazioni
chimiche.
La coltivazione
del riso in Italia è diffusa principalmente in Piemonte, Lombardia, Veneto ed
Emilia, seguendo in gran parte il corso del fiume Po. La qualità di questo
cereale è influenzata in modo significativo dall’area geografica di
coltivazione, grazie alle peculiarità dell’ambiente naturale che comprendono la
qualità del suolo e dell’acqua. In Italia il riso è sottoposto a un controllo
rigoroso della filiera, volto a garantire e a certificare la sua origine. Tra
le varie tecnologie disponibili a questi fini c’è la spettroscopia Raman che i
ricercatori ENEA hanno impiegato per questo studio: si tratta di una tecnica
all’avanguardia che utilizza l’interazione tra luce e molecole per identificare
la composizione chimica, distinguere tra materiali simili e persino tracciare
l’origine e i metodi di produzione attraverso analisi non distruttive. Un altro
vantaggio di questa tecnologia è la possibilità di eseguire analisi rapide,
senza bisogno di manipolazioni o pretrattamenti particolari dei campioni, garantendo
una notevole risoluzione spettrale (3 cm⁻¹). E per queste sue caratteristiche
viene impiegata in molti settori che spaziano dall’industria chimica alla
medicina, fino ai beni culturali, trovando utili applicazioni anche nel settore
alimentare, ad esempio per l’analisi di autenticità, qualità e tracciabilità
dei prodotti.
“I risultati
che abbiamo ottenuto ci incoraggiano a proseguire con ulteriori classificazioni
del riso basate su aspetti differenti, come il tipo, l’area di coltivazione, la
gestione del terreno di semina e la fertilizzazione. Tali ricerche rafforzano
in modo significativo la reputazione del riso italiano, valorizzandolo a
livello globale e aprendo la strada a tecnologie analoghe per la tracciabilità
e il controllo qualità di altre filiere agricole”, conclude Claudia Zoani.
Crediti foto: ENEA.
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