È un nome eccellente quello dell’Istituto fondato a Firenze dal Prof. Manfredo Fanfani nel 1954, punto di riferimento nel settore della diagnostica, non soltanto in Toscana, ma anche livello nazionale. Una storia illustre, costellata di riconoscimenti, tra i quali, uno dei più recenti, al Dott. Fabio Fanfani, insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Molti i primati nell’applicazione di nuove, sofisticate tecniche di analisi, risultato di studi, e di grandi investimenti. Un sistema virtuoso che nei sessantasette anni dalla nascita ha unito a servizi di altissimo livello la velocità di esecuzione e la massima riduzione dei tempi di attesa per i pazienti: un valore aggiunto prezioso per la salute. Dal periodo della massima emergenza sanitaria, al momento attuale, che richiede una estrema attenzione sul fronte della prevenzione, Fabio Fanfani spiega come si è svolta nei mesi passati e come si sta svolgendo l’attività dell’Istituto nell’emergenza Covid-19, con servizi e prestazioni che si sono andati ad aggiungere alla gestione ordinaria del laboratorio.
Dott. Fabio Fanfani, anche il vostro Istituto si è trovato in prima linea nell’emergenza sanitaria. Quando avete individuato il primo caso di Covid-19?
Il primo paziente affetto da coronavirus si è rivolto al nostro Istituto prima che scattasse l’emergenza sanitaria ed era il 23 Febbraio. Il paziente venne da noi per eseguire una Radiografia del torace in quanto presentava dal alcuni giorni tosse e febbre. Fu da noi diagnostica una polmonite. Solo successivamente si è accertata la presenza del virus attraverso l’esecuzione del tampone. È stato il primo caso covid-positivo in Toscana. Si è risolto bene, con una guarigione senza problemi, ma da quel giorno abbiamo adottato tutte le misure di protezione Covid-19 compreso il triage all’ingresso.
L’Istituto ha iniziato subito ad effettuare gli esami per verificare la presenza del virus anche privatamente?
Inizialmente no, la Regione Toscana aveva, infatti, emanato un’ordinanza che autorizzava l’esecuzione dei test solo a determinate categorie di lavoratori ritenute a rischio di esposizione al virus. Solo successivamente si è potuto estendere l’esecuzione dei test anche al cittadino privato che lo richiedeva.
Qual è il motivo di questa prima disposizione?
Era una forma di tutela, nel timore di esaurire i kit disponibili e di non averne poi per coloro ai quali erano inizialmente destinati. I test, prodotti per il 90% in Cina, venivano bloccati alle frontiere, così come i dispositivi di protezione, questo ha portato la Regione, inevitabilmente, a dover mettere in atto delle norme che regolamentassero la distribuzione dei test.
Quali sono le sue previsioni per quanto riguarda il protrarsi dell’esecuzione dei test?
Credo che sarà necessario eseguire i test probabilmente finché non sarà effettuata la vaccinazione di massa, e non una volta soltanto, ma, a seconda delle categorie, andranno ripetuti una volta al mese, perché il test ci dà una fotografia del momento, ma non esclude possibili infezioni in futuro. Bisogna poi considerare che le persone hanno cominciato nuovamente a viaggiare e questi test continueranno a restare indispensabili a lungo. Mentre fare il tampone richiede dei tempi di risposta più lunghi, il test sierologico per la sua rapidità potrebbe essere effettuato anche agli imbarchi. I test sierologici non hanno un’accuratezza del 100% ed in alcuni casi possono dare falsi negativi, in particolare se ci si sottopone al test prima di cinque\sette giorni dall’eventuale contagio. Infatti solo dopo dieci giorni si iniziano a produrre gli anticorpi.
In passato ricorda eventi particolarmente drammatici, paragonabili in qualche modo a quello che stiamo vivendo?
Mi ricordo i bambini di Chernobyl. Venivano a trascorrere le vacanze estive qui, ospiti di famiglie toscane. Erano una quarantina. Venivano sottoposti ad una serie di esami perché avevano subito l’asportazione della tiroide. L’Istituto operava con finalità umanitarie ed offriva le indagini gratuitamente. Non ricordo, però, eventi simili al Covid-19. Ci sono state influenze stagionali, più o meno importanti, ma non di questa portata e gravità.
Nelle forme influenzali solitamente che tipo di analisi sono richieste?
Noi studiamo le complicazioni delle influenze che sono quelle più gravi come la broncopolmonite o la polmonite. Il Covid-19 predilige il polmone. Oggi, se si scopre una polmonite, si deve pensare che ci possa essere il virus. Anche le influenze normali, però, possono provocare, specialmente nelle persone anziane, polmoniti, pleuriti, facendo registrare anche casi di mortalità.
È stato difficile, all’inizio dell’epidemia, individuare e distinguere prontamente i casi. Quali azioni potrebbero essere utili per la prevenzione di una nuova diffusione?
A tanti, all’inizio, non si è fatto in tempo a fare il tampone e quindi qualche caso può essere stato scambiato per altro. Adesso potrebbe essere interessante, attraverso i test sierologici, ricostruire la storia del virus.
In che modo?
A dicembre si sono verificate strane polmoniti. In Toscana sono state poche, mentre in Lombardia ce ne sono state alcune mai viste prima così aggressive, che oltretutto non reagivano ai farmaci. Quindi, probabilmente, già a fine dicembre o forse a novembre, il virus è entrato in Italia. Sarebbe sufficiente fare il test sierologico a coloro che sono stati ricoverati a dicembre e verificare se sono positivi. Ora sono guariti, ma se avessero gli anticorpi al virus significherebbe che lo hanno contratto a dicembre. Ce ne sono a migliaia in Lombardia che sono stati curati per la polmonite e che non riuscivano a guarire. Alcuni di essi sono poi guariti, altri sono morti. Forse qualcuno sta studiando questi casi, ma ho notato che non c’è un grande interesse a stabilire se il virus è arrivato a novembre o a dicembre, forse perché altrimenti qualcuno potrebbe chiedere perché non si è pensato di intervenire prima, cioè quando in Cina si stava diffondendo. Sicuramente il virus è arrivato prima di quando è stato dichiarato. Bisognava attivare anticipatamente un sistema di protezione sanitaria a livello nazionale. L’allarme è stato dato a fine gennaio ma è stato sottostimato il pericolo. Nessuno si aspettava quello che poi è accaduto. Adesso sono tutti preparati, anche psicologicamente, nonostante che il virus non si conosca ancora bene. Sappiamo però che bisogna abituarsi a questa presenza, cambiare un po’ le abitudini fino a quando non arriverà un vaccino a risolvere il problema.
Quali altri vantaggi può offrire il test sierologico?
I test sierologici sono importanti per capire bene quanti sono venuti a contatto con il virus e quanti ne sono portatori sani. Saranno utili anche per misurare il tasso anticorpale, anche dopo la vaccinazione, perché non è detto che tutti i vaccinati potranno avere una copertura anticorpale di livello sufficiente per difendersi dal virus. In qualche soggetto il vaccino potrebbe non essere efficace o altrimenti potrebbe, come nel caso dell’antitetanica, essere necessario il richiamo. I test sierologici serviranno, dopo un anno o due, a verificare il livello di protezione o la necessità di un altro vaccino.
L’Istituto Fanfani è in possesso di una banca data degli esami svolti?
Sì, ma non solo. Noi inseriamo i dati con tutte le informazioni cliniche nella App della Regione Toscana. Ognuno può registrarvi le proprie generalità ed eventuali disturbi e sintomi. Noi verifichiamo se è positivo o negativo e inviamo i risultati alla Regione che acquisisce i dati utilizzandoli per gli studi epidemiologici.
Il tampone cosa va ad accertare?
Il tampone, che si effettua con l’introduzione nel rinofaringe di un bastoncino rivestito di cotone, asportando del materiale dalle mucose della bocca e del naso, rivela se il virus è presente in quel momento, ma non se la persona lo ha avuto in precedenza. La gestione di questo test, in Toscana, è affidata direttamente alla Regione, recentemente sono stati autorizzati anche i privati accreditati. È stato stabilito così perché i dati non vadano persi e possa essere effettuata una mappatura della diffusione del virus e dei sintomi con cui si può presentare, come, ad esempio, la perdita dell’olfatto o del gusto.
Qual è la procedura nel caso di positività?
Il paziente deve stare in quarantena e deve essere avvertito il medico di famiglia. A noi viene richiesto, in genere, l’esame sierologico. Ne abbiamo fatti a migliaia e abbiamo rilevato che ci sono molti asintomatici e altri che non sanno di avere avuto il virus. In caso di positività al test, sia per le IgG (infezione pregressa) sia per le IgM (infezione in atto) i pazienti sono inviati ad eseguire il tampone per confermare o meno la presenza del virus nella mucosa delle vie aeree.
A seguito della convenzione stipulata con la Regione Toscana come avete operato?
Abbiamo ricevuto inizialmente una fornitura di test gratuiti destinati alle categorie più esposte, come medici, personale sanitario, Forze dell’Ordine, volontari, tutti coloro che lavoravano in prima linea, ma anche addetti all’alimentazione nei supermercati. Nella seconda fase, sono entrate quasi tutte le categorie, anche i gestori di bar, ristoranti. Adesso i test possono essere effettuati anche privatamente al singolo cittadino. Svolgiamo inoltre servizi per le aziende che ci chiedono di effettuare il test anche a diverse centinaia di persone contemporaneamente. In questi casi inviamo una squadra direttamente nella loro sede per rendere la procedura più semplice.
Al momento attuale l’Istituto come sta procedendo con i test?
Stiamo facendo i test sempre, soprattutto, alle categorie a rischio. Abbiamo lavorato molto in tutta la Toscana per le scuole in occasione degli esami di maturità, con i test alle commissioni, al personale e riprenderemo poi a settembre al riavvio delle attività scolastiche. Stiamo iniziando a fare gli esami anche a chi deve viaggiare in Paesi che richiedono oltre al test sierologico anche il tampone. Alcune compagnie aeree lo esigono, così come alcune scuole situate all’estero. Nelle case di riposo per anziani i test continuano ad essere effettuati più volte, ogni due o tre settimane, in alcuni casi anche con il tampone. Soprattutto in queste strutture, infatti, esiste il pericolo di focolai. Quindi occorre la massima attenzione. Nelle società sportive di serie A calcio il tampone viene effettuato ogni quattro giorni.
Per le aziende continuate a fare i test?
Sì. Mandiamo sempre il nostro personale all'interno dell’azienda. Per alcune lo abbiamo già effettuato una seconda volta, a distanza di circa un mese e mezzo dalla prima.
Nella sua attività ordinaria, a parte l’emergenza Covid-19, l’Istituto Fanfani come si caratterizza?
È un centro diagnostico completo con laboratorio di analisi interno. Questa è già un’esclusiva perché gli istituti con questa caratteristica sono pochi, in quanto, quasi tutti, oggi, si avvalgono di service esterni.
Cosa significa esattamente?
Alcuni centri si avvalgono di laboratori esterni: eseguono il prelievo dopodiché la provetta viene inviata al laboratorio esterno che analizza il campione. Viceversa nel nostro Istituto il campione di sangue viene analizzato all’interno della nostra struttura disponendo di personale specializzato ed apparecchiature all’avanguardia che ci consentono di effettuare la quasi totalità delle indagini di laboratorio. La possibilità di un laboratorio interno garantisce l’accurata conservazione del campione e la sua processazione dopo pochi minuti dal prelievo: il tutto si traduce nell’alta qualità dell’indagine. Nel nostro Istituto, facendo il prelievo entro le 10 la mattina, alle 12:30 si ha già il risultato direttamente sul telefonino o via email. Per noi è un grande vanto perché a Firenze siamo rimasti soltanto due o tre istituti ad avere la possibilità di un laboratorio interno.
Nel vostro laboratorio quali tipi di test sierologici vengono eseguiti?
Abbiamo due tipi di test sierologici. Test “rapido” qualitativo, che attraverso una goccia di sangue ottenuta con il pungidito ci dice se ci sono o meno anticorpi in base alla colorazione di specifiche “card”. Questo tipo di test è quello che la Regione Toscana ha distribuito dall’inizio dell’emergenza per screenare le categorie di lavoratori a rischio.
L’altro tipo di test è il “quantitativo” semi-automatico: si tratta di un test eseguito con prelievo di sangue tradizionale. In questo caso il campione di sangue prelevato, analizzato con apposita apparecchiatura e ci indica, oltre alla presenza o meno di anticorpi, anche il dosaggio laddove questi fossero presenti.
Qual è il vantaggio di poter “dosare” gli anticorpi in questo tipo di test?
Poter dosare gli anticorpi con il test quantitativo ci permette di avere un dato più accurato e di poterlo confrontare nel tempo. In caso di positività, ad esempio alle IgG, cioè agli anticorpi che dimostrano la pregressa infezione, ripetendolo a distanza, può indicarci se questi ultimi risultano aumentati, e quindi tradursi in un verosimile grado di protezione più elevata. Viceversa, se appaiono diminuiti, significa che il soggetto potrebbe non avere sviluppato un’immunità che lo rende pertanto ugualmente sensibile ad una nuova infezione al virus.
Il vostro Istituto ha vissuto in passato situazioni problematiche da gestire a causa della presenza di nuovi virus?
Sì, ad esempio a metà degli anni ’80 con l’inizio della diffusione del virus HIV. Il nostro laboratorio era in grado di eseguire questo test fin dall’inizio, pertanto lo inserimmo anche negli esami dei check up, nei quali siamo specializzati; ma ci imbattemmo presto in problemi etici nel gestire i casi positivi. Non tutti sapevano che era fra gli esami previsti dal check up, per cui prendere poi coscienza della positività ad una malattia grave che all’epoca aveva un tasso di mortalità elevato, ci pose nella condizione di eseguirli solo se espressamente richiesto.
Come è strutturato l’Istituto?
Questa è un’azienda che si avvale della collaborazione di 110 dipendenti e di liberi professionisti. Filosofia dell’Istituto è sempre stata la soddisfazione del paziente, per noi “il paziente è al centro del sistema”: e questo cerchiamo di rispettarlo fin dall’ingresso in Istituto curando nei dettagli l’accoglienza, nella riduzione dei tempi di attesa, nel soddisfare ogni sua esigenza. Solitamente riusciamo a gestire le attese per esami di diagnostica nel giro di 2/3 giorni, mentre per gli esami ematici questi possono essere eseguiti ogni mattina senza prenotazione. Casi a parte sono gli esami più complessi, come la PET.
Di che tipo di esame si tratta?
La Tac PET è un esame richiesto nella maggior parte dei casi per i pazienti oncologici. Si utilizza un tracciante radioattivo che ha la peculiarità di accumularsi nelle cellule tumorali e quindi ne consente la visualizzazione anche di piccole lesioni che potrebbero essere sfuggite alla TAC o Risonanza, o, viceversa, viene usata a completamento di una diagnosi già certa di tumore per verificare la presenza di metastasi. La loro diagnosi è importante soprattutto per il chirurgo e oncologo per la scelta terapeutica. La Tac/Pet è un esame molto complesso ed impegnativo per i costi di acquisto e di gestione dell’apparecchiatura, per tale motivo in Toscana solo altri due sono i centri privati che possono disporne.
Il vostro Istituto effettua tutti i tipi di analisi sia privatamente che in convenzione?
Sì, il nostro Istituto è convenzionato con il sistema sanitario nazionale, ma non tutti gli esami sono in convenzione: il laboratorio per esempio non lo è, fatta eccezione per i test rapidi Covid-19 forniti dalla Regione. Per quanto riguarda la diagnostica per immagini: il 20% degli esami è in convenzione e il paziente tramite prenotazione cup paga solo il ticket in base alla sua fascia di reddito.
Per quanto riguarda la medicina sportiva, avete stipulato delle convenzioni?
Per quanto riguarda le società sportive abbiamo stipulato una convenzione anche con la FGCI, con la Nazionale di Calcio, per tutti i tipi di esami, da quelli di laboratorio alla risonanza magnetica o tac. Seguiamo la Nazionale al Centro Tecnico Federale di Coverciano ormai da tanti anni. Lavoriamo molto con i club sportivi perché sanno di poter usufruire sempre di un servizio di massima qualità.
In cosa si traduce questo, in pratica?
Una struttura come la nostra, che copre ogni tipo di diagnostica, ci permette di offrire al paziente un servizio a 360°: ad esempio, evidenziando al RX torace un nodulo sospetto può completare l’indagine con una tac per ottenere una diagnosi certa, anche nella stessa mattinata, colmando inevitabili tempi di attesa che vi sarebbero se si facesse in ambito ospedaliero. Questo è possibile perché tutti i reparti sono coordinati e interagiscono tra loro. Ci sono persone che si rivolgono a noi per un check up e siamo in grado di espletare tutti gli esami previsti in una sola mattinata.
In che modo vengono effettuati nello stesso giorno?
I check-up sono organizzati nei minimi dettagli fin dall’ingresso del paziente. Il loro percorso attraverso tutte le indagini che devono essere eseguite viene accompagnato da una Tutor, e si conclude poi con una visita e relazione conclusiva con un nostro medico. Siamo nati, come centro di check up e per questo siamo gli unici ad offrire un servizio di questo genere. La prevenzione prima di tutto. Non facciamo chirurgia, perché il nostro settore è la diagnostica, ma abbiamo un centro all’avanguardia di colonscopia e gastroscopia in sedazione, e se troviamo, ad esempio, un piccolo polipo durante l’esame, questo viene asportato e inviato al laboratorio per l’esame istologico. Il tutto in piena sicurezza e con assistenza anestesiologica. È un reparto che è stato del tutto rinnovato ed è molto efficiente.
L’Istituto è un centro polivalente e il nostro obiettivo è quello di essere sempre all’avanguardia. Tra gli istituti privati siamo stati i primi in Italia ad avere la risonanza magnetica. Sono andato negli Stati Uniti, da giovanissimo medico, appena laureato, a scegliere questa apparecchiatura.
Siamo stati i primi anche ad effettuare la Coronaro TC.
Di cosa si tratta?
È un’indagine che studia in modo non invasivo, con la Tac, le arterie coronarie, senza l’utilizzo di cateteri. Attraverso questo esame possiamo studiare il decorso delle arterie coronarie e la presenza o meno di occlusioni predicendo cosi il rischio o meno di avere un infarto. Particolari software consentono la ricostruzione 3D del cuore e la precisa anatomia dei vasi e del loro lume. Questo studio non invasivo viene prediletto in caso di pazienti asintomatici; viceversa se il paziente presenta sintomatologia dolorosa, è candidato per la tradizionale coronarografia. Quest’ultima consente, attraverso l’introduzione di un catetere che dall’inguine risale fino al cuore, di evidenziare l’ostruzione e trattarla.
Quali sono i vantaggi di questo tipo di esame rispetto alla coronarografia?
La Coronaro TC ha il vantaggio di non essere invasiva e di poterla eseguire come esame preventivo per la diagnosi della patologia coronarica. Quindi è un esame ripetibile. Viceversa la coronarografia tradizionale, per la sua invasività, viene eseguita solo in casi selezionati e sintomatici, riportando in letteratura una mortalità dello 0,2%.
A cosa sono imputati i suoi rischi?
Il catetere che entra e arriva fino al cuore può provocare delle emorragie. È un esame che necessita di ricovero e attenzioni nel post-procedura per scongiurare la formazione di ematomi nella sede di inserimento del catetere, solitamente l’inguine. Nel caso del Coronaro TC il rischio è zero: si ha soltanto una puntura nel braccio per iniettare il mezzo di contrasto, la persona subito dopo l’esame può recarsi a casa. Abbiamo negli anni eseguito molti esami di questo tipo che ci hanno permesso di raccogliere un’ampia casistica e di farne una pubblicazione.
Quali altri esami hanno fatto la storia dell’Istituto?
Nel 1984 siamo stati i primi in Europa ad importare il “dentalscan” e abbiamo mantenuto l’esclusiva italiana per sei anni per questo esame. È utilizzato in odontoiatria per pianificare l’inserimento di impianti dentali ed in generale per valutare patologie dei mascellari. Nei primi anni molti specialisti odontoiatri sono venuti da tutta Italia per studiare tale metodica. Questo mi ha permesso di essere riferimento per molti di loro e di poter scrivere molti libri sull’argomento.
Cos’è che rende possibile per il vostro Istituto essere sempre all’avanguardia?
Siamo sempre un po’ più avanti perché siamo anche esperti del settore da 67 anni e, inoltre, la nostra è una azienda familiare formata da me e mia sorella, per cui possiamo prendere decisioni rapide, anche in un minuto, snellendo tutti i processi tipici delle grosse aziende. Essere quindi all’avanguardia si traduce nell’attenzione alla cura delle apparecchiature: cerchiamo di avere sempre strumenti di ultima generazione e software a loro dedicati sempre aggiornati. Questo certamente è per noi un vanto che non sempre è apprezzato o conosciuto. Il paziente chiede di fare un esame ma non è informato circa le caratteristiche dell’apparecchio che sarà utilizzato. Tant’è che l’obsolescenza degli strumenti inizia ad essere un tema dibattuto anche a livello regionale: occorre dare valore e rilevanza alle strutture che investono per mantenere le strumentazioni dedicate al cittadino sempre attuali, solo cosi facciamo fede alla nostra filosofia “il paziente al centro del sistema”: attenzione all’accoglienza sì, ma in primis alta qualità per le nostre tecnologie.
In cosa, negli anni, vi siete distinti nella scelta delle apparecchiature?
Faccio un esempio: siamo stati i primi utilizzatori della radiologia digitale privata in Toscana. Con la radiologia digitale, che non utilizzava più le note lastre, bensì sistemi rilevatori, si è potuto ridurre la dose di radiazioni di circa 30-40 volte rispetto ai precedenti sistemi. Così il paziente assorbe meno radiazioni. Anche la nuova tac, installata recentemente, ha la caratteristica di emettere, grazie a particolari software, otto volte meno radiazioni rispetto a una tac normale. Questo, purtroppo, pochi specialisti lo sanno, ma è un grande servizio quello che noi offriamo. Stessa cosa per la Tac Cone-beam, una tac utilizzata per l’odontoiatria ed in generale per lo studio delle patologie del massiccio facciale. Essa eroga una dose di radiazioni talmente bassa che può essere ampiamente sfruttata in pediatria per lo studio delle malocclusioni.
Altro nostro fiore all’occhiello è il mammografo con tomosintesi che consente anche lo studio dei noduli mammari con il mezzo di contrasto, una caratteristica che pochi Istituti hanno.
Il vostro Istituto, è stato spesso al centro della cronaca e sotto i riflettori del cinema. Cosa ricorda in particolare?
Lo studio di mio padre è quello del famoso professor Sassaroli di Amici miei. La scena clou del film con Gastone Moschin è stata girata proprio nel suo studio. Lo abbiamo lasciato esattamente così com’era. Ci sono tante storie che ricordo. La prima visita di Christiaan Barnard, il famoso cardiochirurgo. Venne a Firenze a visitare mio padre nel nostro studio, in amicizia. Mi ricordo, ero un bambino, nella piazza antistante si erano radunate alcune migliaia di persone. Erano presenti tutte le televisioni nazionali perché la notizia era che a Firenze, all’Istituto Fanfani arrivava non un uomo, ma un dio, perché Barnard era colui che sapeva togliere un cuore e sostituirlo con un altro. Abbiamo dei servizi bellissimi che furono realizzati in quell’occasione, documenti storici anche molto simpatici. L’istituto è anche una galleria d’arte con più di mille quadri d’arte contemporanea. Da poco è uscito un libro, curato da me, sul celebre pittore Alfio Rapisardi, del quale siamo i maggiori collezionisti. Era un grande amico di mio padre.
Oltre all’attività dell’Istituto lei ha altri incarichi in ambito diplomatico. Quali esattamente?
Sono Console Generale delle Filippine, Decano del Corpo Consolare di Firenze a cui fanno capo circa 60 consolati. Stiamo sviluppando iniziative in ambito medico, in particolare nella prevenzione. Come Corpo consolare, con il Comune di Firenze, è stato realizzato un film documentario Il cuore non si ferma. È la storia di alcuni turisti, al mercato di San Lorenzo, uno dei quali è colpito da un malore. Da lì prende avvio un percorso nel quale si insegnano le tecniche di intervento di primo soccorso in caso di infarto. È riuscito molto bene, diretto da un bravo regista. Le immagini iniziali di Firenze sono molto belle, poi il documentario diventa più tecnico. Verrà diffuso nelle scuole per mostrare cosa può fare anche un comune cittadino di fronte a quel tipo di emergenza. Ci sono soltanto pochi secondi per salvare una vita. La presentazione era prevista per i primi di marzo ma ovviamente è stata rimandata. Come Decano sono il coordinatore per tutte le attività, per gli eventi, le assemblee, ma cerco di portare anche molta “medicina”.
Quali altre iniziative ha promosso?
Ho fatto realizzare, già ai primi di marzo, la traduzione in diverse lingue di un elenco di accorgimenti per difendersi dal coronavirus, e li abbiamo poi inviati anche al Comune di Firenze: dieci punti fondamentali su “Come difendersi dal virus”. Svolgiamo anche questo tipo di servizio che è gratuito. Si pensi che a Firenze il 17% dei cittadini è formato da stranieri. È un numero altissimo. Abbiamo programmi di prevenzione destinati ad alcune etnie in particolare, rivolti ad esempio, ai filippini, che fanno registrare un tasso di mortalità alta in giovane età a causa di malattie cardiovascolari. Sono dovute principalmente all’ipertensione e all’alimentazione. Vi sono casi di ragazzi colpiti da infarto a 25 anni. Chi è colpito da ictus può morire ma può anche rimanere offeso con paralisi permanenti di grave entità e con pesanti conseguenze per la persona, e, in ultimo, anche per il sistema sanitario. Così sto sostenendo e promuovendo un’attività di prevenzione perché questi ragazzi si possano difendere da questi rischi. Ci sono poi altre etnie che hanno difficoltà di tipo diverso. Essendo medico mi interesso anche di questi problemi senza trascurare gli altri aspetti come l’organizzazione del cerimoniale nel caso di visita di un Capo di Stato.
Nella foto
Dott.ssa Stefania Fanfani e Dott. Fabio Fanfani
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