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Dimmi Tiresia, al Teatro Romano di Volterra

Dimmi Tiresia, al Teatro Romano di Volterra

Luisa Stagni, drammaturga, regista, interprete, porta in scena il mito dell’indovino, nella “contemporaneità diventata il luogo dell’astratto (…)”.

Author: Redazione Aurora/18 июль 2020 й/Categories: Attualità, Teatro, Italia, Toscana

Dimmi Tiresia, con Luisa Stagni che cura anche la regia, Luca Piomponi, Lucrezia Serafini, con Ensemble vocale Ottava giusta - Alessandra Corso, Laura Felice, Marina Madeddu, Carla Tavares -  composizioni vocali Arman Azemoon, prodotto da Opera Decima, andrà in scena domani, domenica 19 luglio, ore 21:30 sul palco del Teatro Romano, nel programma del Festival Internazionale Teatro Romano Volterra. Dimmi Tiresia, scrittura teatrale inedita di Luisa Stagni (attrice, regista e drammaturga) nasce nel 2015, come lirica dell’ascolto: l’autrice, resa cieca da una malattia, approfondisce e concentra la sua ricerca sulla percezione, sensoriale e relazionale, come metodo e formazione dell’attore. Dopo CieKaPuk e Via Calafrutti 30, con Dimmi Tiresia la cecità non è più uno status di menomazione, ma la condizione - quasi necessaria – per la conoscenza. La leggenda dell’indovino suo malgrado, che si trasformò in donna per poi, passati sette anni, tornare nuovamente ad essere uomo e successivamente, per un parere non gradito a Hera fu accecato (altri attribuiscono il fatto ad Atena) e in parte compensato da Zeus con la preveggenza e il dono di vivere sette generazioni, è la narrazione antica, il tramite necessario per irrompere nel contemporaneo. Quel Tiresia del mito, interpellato da re ed eroi, da tutti chiamato per rispondere su un futuro da ognuno disatteso, testimone di vicende tanto sconvolgenti quanto prevedibili e preannunciate, l’uomo stremato dall’insistente domanda: “dimmi Tiresia, dimmi…”, forse – oggi - non serve più. La contemporaneità è diventata il luogo dell’astratto, dell’immediato scisso da ogni legame con se stessi e con la comunità, distante tanto da un passato condiviso come da un futuro. Il naturale fondamento dell’umanità – la relazione – muore per l’indifferenza di scelte e visioni. Il futuro diviene pura espressione verbale mentre – per esistere – esigerebbe un presente nella sua piena vitalità emotiva e razionale. L’assenza di futuro è il nichilismo dell’assoluto presente. Con la resa di ogni desiderio, quesito, aspirazione ad un presente onnivoro e consumato, il futuro è divorato e Tiresia definitivamente silenziato.Questi e altri pensieri attraversano il nostro Tiresia, un omino in nero, quasi un Charlot, incastonato in un vecchio coro ligneo. Ai lati una donna e un uomo, giovani, quasi novizi di un rito arcaico, danzano quella giovinezza ambivalente di un Tiresia ancora vedente … poi il coro testimone, umanità questuante… tutto questo per una messinscena in teatrodanza.

 

 




 

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