Una pista da
sci su tre minaccia oggi i “rifugi climatici” delle specie d’alta quota: entro
pochi decenni queste strutture del divertimento invernale occuperanno i due
terzi di queste preziose aree, entrando in piena rotta di collisione con le
esigenze delle specie di trovare aree adatte dove vivere e riprodursi
difendendosi dai cambiamenti climatici. È quanto rende noto la Lipu a seguito
dei risultati di una ricerca condotta con l’Università degli Studi di Milano, pubblicata
pochi giorni fa dalla rivista internazionale Biological Conservation,
tesa a valutare l’impatto che le stazioni sciistiche hanno, e avranno, sui
rifugi climatici (ossia aree cruciali idonee a ospitare le specie più sensibili
anche negli scenari futuri meno favorevoli) per le specie d’alta quota nelle
Alpi, come la pernice bianca e il fringuello alpino. Nei prossimi
decenni, infatti, dati i cambiamenti climatici in atto, anche le piste da sci,
come molte specie selvatiche, saranno costrette a salire di quota per poter
continuare a operare: in molte valli, a quote medie, farà troppo caldo persino
per la neve artificiale (sempre più diffusa, ma anche assai dispendiosa).
Pista da sci. Crediti foto: Arch. Lipu.
Le
nuove piste andranno così a sovrapporsi sempre più ai rifugi climatici, creando
una situazione di potenziale e pericoloso conflitto con la conservazione degli
habitat e delle specie più minacciati dai cambiamenti climatici. La potenziale
sovrapposizione tra sci alpino e biodiversità d’alta quota è infatti destinata
ad aumentare: considerando le aree idonee per le piste da sci, si passerà
dall'attuale 57% della superficie dei rifugi adatta alla realizzazione di
piste, al 69%-72% del periodo 2041-2070. Al momento, già una pista su tre
minaccia un rifugio climatico, e in futuro questa situazione non potrà che
peggiorare in assenza di adeguate politiche di indirizzo a causa dei
cambiamenti climatici, sottolinea la Lipu. Molte specie
rispondono, infatti, all'alterazione dell'ambiente e del clima spostando la
loro distribuzione, e in montagna questo significa soprattutto spostarsi verso
l'alto, inseguendo il clima “ideale” al quale le specie si sono adattate nel
corso della loro storia. Gli uccelli sono molto sensibili alle variazioni
climatiche e ambientali, soprattutto quelli ad alta quota, e sono pertanto
ottimi indicatori per monitorare le alterazioni dell'ambiente, la funzionalità
degli ecosistemi e i cambiamenti climatici in atto, particolarmente rilevanti
in contesti come le Alpi, dove a un elevato tasso di riscaldamento climatico si
associa una forte pressione antropica. “Non possiamo
permetterci, nella crisi climatica in cui ci troviamo – afferma Francesca
Roseo, dottoranda in Scienze Ambientali presso l’Università Statale di Milano e
prima autrice dello studio - di compromettere ulteriormente le nostre montagne
che garantiscono l’approvvigionamento idrico per le metà della popolazione
mondiale che vive in esse. Gli
ecosistemi montani, estremamente diversificati in relazione alle condizioni
climatiche, edafiche (suolo) e topografiche, sono molto sensibili al
cambiamento climatico, al turismo di massa e allo sfruttamento delle loro
risorse. Compromettere questi ecosistemi significa incidere sulla loro
funzionalità e capacità di fornire servizi ecosistemici, mettendo a rischio la
qualità della vita, quando non la sopravvivenza stessa, di molte persone anche
in pianura”. “Le montagne -
ricorda Claudio Celada, Direttore Conservazione di Lipu/BirdLife Italia -
stanno sperimentando un tasso di riscaldamento superiore alla media e drastiche
modifiche del paesaggio dovute al cambiamento climatico e alle attività umane.
Queste alterazioni ambientali e climatiche minacciano la conservazione delle
specie d’alta quota e la funzionalità degli ecosistemi montani. E gli sport
invernali sono spesso praticati in fragili ecosistemi alpini, anche essi
vulnerabili ai cambiamenti climatici e rischiano di incidere sempre di più sui
rifugi climatici. È dunque necessario valutare le attuali misure di gestione e
conservazione di tutte quelle aree rifugio che, pur ricadendo al di fuori delle
aree protette, garantiscono la tutela della biodiversità d’alta quota”. “Il
nostro lavoro – spiega Mattia Brambilla, professore associato di Ecologia
presso il dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’ateneo milanese -
ha indagato il possibile impatto spaziale dei comprensori sciistici su aree
cruciali per le specie d’alta quota.

Pista da sci. Crediti foto: Mattia Brambilla.
Il cambiamento climatico non solo
influisce sulle specie, ma spesso, come in questo caso, aumenta anche la
pressione delle attività umane su di esse. Tenere conto anche di questi aspetti
è fondamentale per uno sviluppo davvero sostenibile, in particolar modo per le
regioni montane, così sensibili agli effetti dei cambiamenti in atto”. “Con in mano
questa fotografia delle Alpi - prosegue Roseo - è chiaro che gli sforzi per
proteggere gli ecosistemi montani e la biodiversità che ospitano devono
aumentare e soprattutto tradursi rapidamente in azioni concrete. Non si tratta
solo di proteggere specie iconiche come la pernice bianca, ma anche le nostre
società, che dipendono da ecosistemi in salute, in grado di fornire beni e
servizi imprescindibili. “Con le
conoscenze scientifiche attuali, la creatività e l’ingegno umano – conclude
Roseo - dobbiamo trovare soluzioni alternative al passato per mantenere
l’economia di valle senza compromettere gli ecosistemi montani, da cui anche
noi, come molte altre specie, dipendiamo sotto molti aspetti”.
Foto in primo piano: Pernice bianca. Crediti: Luigi Sebastiani.
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