Grazie a una
lunga campagna di osservazioni realizzate con il telescopio spaziale XMM-Newton
dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA), un gruppo internazionale di ricerca
guidato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT), di cui fa parte anche
Ciro Pinto dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha rilevato oscillazioni
quasi periodiche dei segnali X provenienti dalla “corona” di particelle che
circonda un buco nero supermassiccio situato nel cuore di una galassia vicina. È
quanto trasmette INAF in una nota. L’evoluzione di queste oscillazioni non solo
suggerisce la presenza di un altro oggetto celeste in orbita attorno al buco
nero, ma indica inoltre che questi oggetti compatti divorano la materia in modi
più complessi di quanto gli astronomi inizialmente pensassero.
I risultati
dello studio, pubblicato sulla rivista Nature, suggeriscono che a
produrre tale variabilità possa essere una nana bianca attorno al buco nero,
che viene divorata a piccoli “morsi” a ogni orbita. Il lavoro, basato su
osservazioni del buco nero supermassiccio 1ES 1927+654, al centro dell’omonima
galassia situata in direzione della costellazione del Dragone, è stato
presentato oggi al 245° meeting dell’American Astronomical Society in corso a
National Harbor (Maryland, Stati Uniti). Durante il meeting sono stati
presentati altri due studi, dedicati a osservazioni dello stesso buco nero,
firmati tra gli altri da Gabriele Bruni, Francesca Panessa e Susanna Bisogni
dell’Massachusetts Institute of Technology (MIT).
I buchi neri
supermassicci sono mostri cosmici che imprigionano qualsiasi cosa varchi il
loro “confine”, una regione dello spaziotempo nota come orizzonte degli eventi.
Previsti dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein, si
distinguono per la loro capacità di accrescere massa attraverso un disco di
accrescimento riscaldato dall’attrito, emettendo luce visibile, ultravioletta e
raggi X. Intorno al disco si sviluppa una corona di particelle caldissime che
emette raggi X ad alta energia, la cui intensità varia in base alla quantità di
materia che fluisce verso il buco nero.
Le emissioni
descritte nell’articolo di Nature sono segnali a raggi X variabili nel
tempo e in frequenza, chiamate oscillazioni quasi periodiche, o QPO
(dall’inglese Quasi Periodic Oscillations). Le osservazioni hanno rivelato
picchi di emissione X che variano su tempi scala brevissimi, dell’ordine di 500
secondi.
Gli autori
dello studio, guidato da Megan Masterson del Massachusetts Institute of
Technology, negli Stati Uniti, osservano 1ES 1927+654 con XMM-Newton fin dal
2011. All'inizio il buco nero si trovava in una fase di basso accrescimento,
una sorta di “regime alimentare dietetico”. Le cose sono cambiate nel 2018,
quando è entrato in una fase di accrescimento estremo, caratterizzata da una
potente esplosione (outburst in inglese) associata all’emissione da parte del
disco di accrescimento di luce visibile e ultravioletta, come pure di potenti
venti relativistici: il segno tangibile di un “pasto abbondante”. In
quell’occasione, i ricercatori hanno anche osservato la scomparsa
dell’emissione X ad alta energia della corona - precedentemente osservata - sinonimo
di distruzione della corona stessa.
Dopo il
ripristino del flusso di raggi X emessi dalla corona nel 2021, nuove
osservazioni condotte sempre con XMM-Newton a luglio del 2022 hanno però
mostrato rapide variazioni di questo flusso, con periodi compresi tra 400 e
1000 secondi. Il profilo di emissione presentava picchi che si alternavano a
bruschi cali del segnale: le oscillazioni quasi periodiche (QPO), fluttuazioni
dell’emissione X notoriamente difficili da rilevare nei buchi neri
supermassicci, e che, a distanza di anni dalla loro scoperta, non si sa ancora
per certo che cosa li produca fisicamente.
“A marzo del
2024, abbiamo osservato nuovamente il buco nero con XMM-Newton e le
oscillazioni erano ancora presenti” sottolinea Ciro Pinto, ricercatore INAF,
tra i firmatari dello studio. “L'oggetto orbitava a quasi la metà della
velocità della luce, completando un'orbita ogni sette minuti”.
Per spiegare
una tale curva di luce, il team ha proposto due ipotesi alternative. La prima
ipotesi è che nei pressi del buco nero si sia verificato un evento di
distruzione mareale, ossia la disintegrazione di un corpo celeste, ad esempio
una stella, da parte delle forze di marea del buco nero. Un tale evento
potrebbe spiegare la perturbazione della nube di particelle della corona.
L’altra ipotesi prevede che a determinare il profilo di emissione di 1ES
1927+654 possa essere stata invece una nana bianca, un “cadavere stellare”
catturato dalla immane forza di gravità del buco nero che, orbitando
rapidamente attorno a esso, avrebbe spazzato via a ogni orbita il gas della
corona responsabile delle emissioni. I calcoli effettuati dai ricercatori
sembravano avallare la seconda ipotesi. Le fluttuazioni dell’emissione X erano
molto probabilmente determinate da una nana bianca dieci volte meno massiccia
del Sole, che completa un'orbita attorno al buco nero, a una distanza di circa
cento milioni di chilometri, ogni diciotto minuti circa.
Le nuove
osservazioni hanno tuttavia messo in discussione entrambe le ipotesi. Lo studio
dell’evoluzione della frequenza delle emissioni nel tempo ha infatti mostrato
che le oscillazioni aumentavano la loro frequenza: un simile comportamento
esclude che a produrre la curva di luce possa essere stato un evento di
distruzione mareale, che avrebbe causato la scomparsa dei picchi di emissione X
nell’arco di alcuni mesi. In questo caso, invece, le oscillazioni sono state
osservate per almeno due anni. I dati di XMM-Newton del 2024 hanno mostrato
inoltre che, su tempi scala ancora più lunghi, i picchi di emissione X coronali
si sono stabilizzati, il che esclude anche l’ipotesi della nana bianca, o
quanto meno che la distruzione sia avvenuta in un colpo solo. Si potrebbe però
considerare una nana bianca alla quale il buco nero strappa materia “a piccoli
bocconi”: questa non sarebbe stata consumata in un solo pasto, dunque, ma poco
a poco.
A discriminare
tra i vari scenari potrebbe essere un’altra osservazione, quella di onde
gravitazionali. Quando due oggetti compatti, come nane bianche o buchi neri,
ruotano l’uno attorno all’altro, vengono infatti prodotte queste increspature
nello spazio tempo che si propagano nel cosmo. Se l’ipotesi della nana bianca
fatta a pezzi “a piccoli morsi” dal buco nero fosse vera, si dovrebbero captare
questi segnali: non con gli osservatori terrestri, che osservano onde
gravitazionali ad alte frequenze, ma con osservatori spaziali come la futura
missione LISA, il primo osservatorio spaziale di onde gravitazionali, che l’ESA
lancerà nel 2035. Progettato per rilevare onde gravitazionali esattamente nella
gamma di frequenze che 1ES 1927+654 sta emettendo, LISA potrebbe confutare o
confermare l’ipotesi dei ricercatori.
“A partire
dagli anni 2030 per questo tipo di astrofisica si apriranno nuove frontiere”,
conclude Ciro Pinto. “Il primo grande passo verso nuove scoperte sarà il lancio
della missione LISA, che permetterà la rilevazione di onde gravitazionali da
buchi neri supermassicci. A questo obiettivo si aggiungerà la missione
NewAthena che, dotata di ottiche più potenti dei precedenti osservatori a raggi
X, fornirà misurazioni di oscillazioni quasi periodiche più accurate e per più
sorgenti. Tale combinazione di strumenti è indispensabile per valutare quale
tra le varie interpretazioni o modelli finora disponibili circa l’origine delle
oscillazioni quasi periodiche sia corretta. Tutto ciò è rilevante per
comprendere i meccanismi di formazione dei buchi neri supermassicci, ancora
oggi in discussione”.
In primo piano: Illustrazione artistica che mostra una nana bianca in orbita attorno a un buco nero supermassiccio in accrescimento. Crediti: NASA/Sonoma State University, Aurore Simonnet.
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