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MONTICCHIELLO, IL PAESE CHE DIVENTO’ TEATRO

MONTICCHIELLO, IL PAESE CHE DIVENTO’ TEATRO

Vicina ormai ai 50 anni di vita l’esperienza degli spettacoli scritti, allestiti e recitati dalla gente del borgo della Valdorcia per gli spettatori-turisti che vengono ad assistervi da tutta Italia

Autore: Anonym/lunedì 18 agosto 2014/Categorie: Attualità, Teatro, Viaggi, Italia, Toscana

Da 48 anni la popolazione di Monticchiello, piccolo, delizioso paese della Valdorcia (comune di Pienza), racconta se stessa – le memorie, il suo passato contadino, le vicende storiche, il passaggio alla vita “moderna” graduale ma traumatico, lo spopolamento e l’abbandono delle campagne, le difficoltà concrete del presente – negli spettacoli del suo “Teatro Povero”. Tra luglio e agosto, infatti, va in scena ogni anno, replicato per più di tre settimane, uno spettacolo nuovo, di cui gli abitanti di Monticchiello sono ideatori, interpreti, realizzatori pratici dell’allestimento scenico. Il palcoscenico è in piazza (da qualche anno quella addossata alla chiesa del paese): fu Giorgio Strehler, tra i primi scopritori dell’esperienza di Monticchiello, a chiamare questi spettacoli “autodrammi”. Creazioni autentiche e collettive, in cui l’unica firma individuale è, da molti anni, quella del regista Andrea Cresti. Il lavoro a Monticchiello, in vista dello spettacolo, comincia a primavera, se non in inverno, con la scelta dei temi che saranno trattati nel nuovo dramma; poi con l’elaborazione – lenta ed accurata – del copione. Infine iniziano le prove vere e proprie dello spettacolo, che occupano circa due mesi.

Attraverso il teatro questa comunità piccola ed appartata (ma più partecipe delle angosce della contemporaneità di quanto si possa pensare…) ha imparato a riflettere su di sé, a mettersi a nudo, a interrogarsi: a proprio beneficio, prima di tutto, più che ad uso degli spettatori. Poesia e ironia, lirismo e comicità bozzettistica, toni drammatici e “leggeri” coesistono pacificamente negli spettacoli, con qualche scivolata intellettualistica, in verità, non così adeguata a questo contesto popolare e paesano.
Registri diversi coesistono, con forti contrasti, anche nello spettacolo 2014 – il quarantottesimo, appunto, della serie – dal titolo “Tempi veleniferi” (in riferimento ad un veleno che temono di avere ingurgitato alcuni personaggi). Una vicenda buffa e pittoresca, vivace, brillante, da teatro dialettale – quella di una famiglia contadina con due figlie femmine in cerca di marito – si accosta a scene in cui la gente di Monticchiello, nel 2014, si guarda, attonita, allo specchio, sospesa tra ricordi di ieri e angoscia di un’epoca in cui dovunque predominano crisi, incertezza del destino, corruzione dilagante, prospettive di rinnovamento civile e politico decisamente poco attendibili. Parentesi amare e allucinate coesistono quindi con momenti di gustoso divertimento, di scomposizione e ricomposizione poetica del testo, schegge di indubbia forza evocativa. L’inizio – siamo nel settantennale della Liberazione – evoca, sia pure per pochi minuti, l’episodio più drammatico di tutta la storia di Monticchiello: quando, nell’aprile del 1944, decine e decine di abitanti del paese furono tenuti fermi, immobili, sotto il tiro delle armi tedesche, per ore e ore (poteva essere l’ennesima strage nazista di civili), finché il comandante dei militari accettò di lasciare tutti liberi, senza fare del male a nessuno. Ma quelle ore di terrore angosciose senza limiti non potranno mai essere dimenticate dalla gente del paese.
Il pubblico che a Monticchiello affolla le recite, non manca di manifestare, ad ogni replica, il suo apprezzamento, soddisfatto di una serata teatrale (ma anche enogastronomica, nel ristorante creato dall’organizzazione in un ex-granaio); da notare, sul palco, anche quest’anno, accanto agli attori anziani, più esperti, ottimi caratteristi, anche interpreti di età più verde, inclusi non pochi giovanissimi. Saranno loro, probabilmente, il futuro del teatro di Monticchiello...

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